17 Set 14

Commercio, 33 attività riaperte su 900

Tra dieci anni non ci saranno più i negozi nei centri storici, è quanto prevede l’Osservatorio della Confesercenti veneta con la fine del commercio al dettaglio e la desertificazione urbana. Un fantasma con cui devono fare i conti tutti i centri storici italiani, non ce la fanno a combattere quei mostri dei centri commerciali che praticamente li ingoieranno in fretta, come già fanno da anni senza riuscire ad invertire la tendenza. Non basterebbero più nemmeno gli sgravi fiscali che peraltro l’amministrazione del capoluogo terremotato aquilano, non è riuscita a prevedere nella recente approvazione del Regolamento sulla Iuc, l’Imposta unica comunale che ingloba Imu, Tasi e Tari, per invogliare le attività a tornare in centro. Non lo ha fatto perché manca un’idea di futuro possibile. Il commercio nel centro non è che andasse proprio benissimo prima del sisma, gli aquilani però ci andavano, per questo il centro commerciale L’Aquilone non riusciva a decollare, mentre d’altra parte le tante attività decotte, sopravvivevano nel cuore cittadino perché pagavano  fitti, spesso ad enti pubblici, fermi a cinquant’anni prima. Circa 900 attività, per la Confcommercio. Il 6 aprile 2009 ha spazzato tutti via, hanno aperto o riaperto, la differenza la sanno in pochi, solo 33 attività commerciali; 19, tra alberghi e ristoranti, un’impresa artigiana ed altre attività non meglio specificate, tra gli unici dati sui relativi allacci, che siamo riusciti ad avere, grazie alla collaborazione della società che gestisce il servizio idrico. Ma qual è la prospettiva? All’indomani del sisma il Consiglio comunale deliberò la possibilità per le attività produttive di ricollocarsi altrove, era il 25 maggio del 2009. Da quel punto in poi bar e ristoranti sono andati nei nuclei industriali, con biblioteche pubbliche ed Archivio di Stato, la gran parte dei negozi del centro ha trovato posto nei centri  commerciali, e il resto si è sparpagliato un po’ ovunque, nessuno ci ha capito più niente. L’unica cosa che sono stati costretti a fare è stato prorogare la rilocalizzazione, consentita per tre anni, per altri tre anni. Fino a maggio 2015, senza voler sapere di più.