02 Nov 20

Cinque decreti d’urgenza in un mese…

Quattro decreti d’urgenza nel giro di qualche settimana, è in arrivo il quinto, ci si organizza, non ci si organizza più, si ricomincia da capo. 7 settembre mascherina all’aperto e al chiuso; 13 ottobre locali chiusi alle 24 o alle 21 per chi non ha il servizio ai tavoli; sì banchetti fino a 30 persone, a casa massimo in 6, scuole aperte, stadi al 15% di capienza; 18 ottobre locali chiusi alle 24 o alle 18 per chi non ha il servizio ai tavoli; ingressi scaglionati a scuola, stadi chiusi; 24 ottobre locali chiusi alle 18, chiusi teatri e cinema, palestre, piscine e centri benessere, si raccomanda di non invitare nessuno a casa; quindi il quinto decreto che Conte firmerà nelle prossime ore, con lockdown regionali a seconda dei tre scenari di rischio, coprifuoco per tutti dopo una cert’ora, chiusura di alcuni esercizi e centri commerciali nel fine settimana.

Una goccia cinese per chi ha un’attività, una morsa di confusione per chi vorrebbe capire che succede da qua a due giorni.

Se gli esperti del Comitato tecnico scientifico dicono che dall’ultimo decreto devono passare almeno14 giorni, per vedere un miglioramento nei contagi, qual è la ragione di tutti questi atti? Le Regioni sono divise, c’è un Parlamento, una maggioranza e un’opposizione, le forze produttive, i lavoratori, c’è il mondo e non abbiamo più una vita se non campare alla giornata aspettando il discorso di Conte. Bravissimo a marzo, quando ha saputo tenere insieme un Paese, per perdere incredibilmente oggi tutto il vantaggio e il ben fatto. I dati sul contagio esplodono, quindi perché non chiudere tutto già da un mese e salvare il Natale? Dicono anche nei bar, mentre nella solita scienziataggine facciamo a chi la spara prima di tutti: siamo diventati i re degli schemi.

Per il Censis, Roma fa solo una grassa comunicazione, gli italiani sono disorientati, manca totalmente l’informazione e il dato, capire subito se posso uscire oppure no, che faccio se mi viene la febbre o se mi fa male la pancia di notte, devo andare al Pronto soccorso oppure meglio di no che mi contagio, anzi proprio non ci vado perché ho sentito dire che devi chiamare il medico di famiglia. Anche alle 2 di notte? Non si capisce. Un’informazione d’emergenza non esiste, quindi vado in ospedale. E intaso e tolgo tempo a tutti i malati gravi, non solo i contagiati e gli ospedali esplodono. E poi intervengono quelli che è poco più di un’influenza e quindi non fate terrorismo. Dunque riprendiamo a correre isterici come criceti, a mille, nella ruota, giorno e notte, ingabbiati e mortificati perché comunque l’emergenza c’è, eccome se c’è.

A marzo sapevamo di dover restare a casa, punto. Se L’Aquila non ha contagi, perché non posso andare a fare una passeggiata sotto casa o a correre nei boschi? Questa era la discussione, perché il principio di diversificare il dramma della Lombardia dal dato blando del centro sud non passò. Oggi i confronti sono febbrili. Le Regioni dicono o tutti o nessuno, questione di consenso e di imprenditoria, si passa dal chiudere alle 18 tutti, anzi no alle 21, sì meglio o forse meglio alle 18, le comunicazioni sono nervose e snervanti, siamo stremati, non ci capiamo più niente.

Roberto Testa

Eppure siamo in emergenza, e in emergenza la comunicazione è una e l’informazione pure. Nessuno ci dice come siamo messi, le soglie critiche dei posti letto sono il 30% dei malati di coronavirus in terapia intensiva (in Abruzzo siamo al 17.6%) e il 40% della medicina ospedaliera (siamo al 27%), ma l’unica titolata a confermarlo è la Asl, che ha un manager che la amministra e che all’Aquila si chiama Roberto Testa. Parlava di inaugurazione in grande stile mancata del Delta 7, qualche giorno fa, quando l’emergenza aveva già sfondato la porta ma evidentemente aveva altre priorità, nessuna fila fuori al Pronto soccorso, per il manager, ha assunto e innovato l’azienda, sta a posto così.

Non gli è chiaro che il contagio è esploso a raggiera dai primi di ottobre, epicentro Paganica e un’altra zona nella porte ovest della città, sempre a tutta birra, lo sappiamo tutti, vogliamo l’ufficialità. Dati semplici, certi e comprensibili, se possibile, signor manager. Vorremmo ritrovare il filo del ragionamento, dei posti letto, dei tracciamenti e cercare una luce in fondo al tunnel, sempre se non è troppo disturbo.