27 Mar 21

Sbrigatevi, su, fate presto a tornare

Rientrate. Sbrigatevi, su, rientrate. Ma per andare dove? Rientrate, tornate ai vostri posti. Che nessuno vi tolga la sedia che avete lasciato vuota nelle vostre istituzioni, nei vostri uffici, nelle vostre aziende, nelle vostre start-up e nelle vostre scuole. E se un genio maligno avesse lasciato la vostra sedia intatta e foste stati voi a lasciare le istituzioni, gli uffici, le aziende, le start-up e le scuole? Dove tornereste? Non importa. L’importante è tornare, ritrovare la vostra sedia, sedervici sopra e riprendere il vostro posto. Sedie e sedie allineate, occupate, a un metro e mezzo di distanza l’una dall’altra, fluttuanti nel nulla.

Rientrate. Sbrigatevi a tornare. Lasciate che i commercianti piazzino sugli scaffali i nuovi prodotti dell’autunno. Che si sbrighino. Non si sa mai che il covid-19 torni e si porti via le loro vendite. La mancanza è gestita e organizzata scrupolosamente nella produzione sociale. La produzione non è mai organizzata in funzione di una mancanza reale, è la mancanza a essersi propagata ovunque secondo l’organizzazione del lavoro. Dunque tornate, presto, rientrate al lavoro, tornate a recuperare la lettera di licenziamento, il vostro pezzo della mancanza. Correte verso il vostro posto di lavoro prima che sparisca, affrettatevi a chiedere un prestito per aumentare il vostro debito.

Tornate, ma tornerete solo per rendervi conto che ciò che con tanti sforzi avete ritrovato, ora non ha più senso.

Rientrate, tornate presto dalle vostre vacanze a meno di cento chilometri da casa, correte al vostro posto con la mascherina appesa al polso, come un braccialetto che disperde il virus. Avreste voluto andarvene su un’isola deserta in mezzo al mare, molto lontano, in un posto da dove non si vedono né Lampedusa né Calais. E invece siete stati costretti a restare in Normandia. E ora la Normandia sembra più lontana che mai da Parigi. Tornate nelle vostre città, tornate al loro inquinamento e al loro rumore, prima che i vostri polmoni e le vostre orecchie si abituino alla sinfonia della campagna. Rientrate nei labirinti della metro. Ricominciate a sopportare le riunioni interminabili.

Ciò che è ‘presenziale’ è diventato più virtuale del virtuale. Tornate a sottoporvi alle domande dei funzionari. Rimettetevi in fila al centro per l’impiego. Riprendete le vostre televite. Tornate con le narici spalancate, affinché una figura umana nascosta dietro una protezione igienica possa infilarvi un bastoncino dentro e strofinarvi il bordo del cervello. Con un po’ di fortuna risulterete negativi, e sopravviverete. Lasciate che i vostri bambini, piccoli corpi sostanzialmente immuni, tornino nelle scuole dove nulla di ciò che apprendono li salverà dall’ecocidio commesso dai grandi.

Tornate, presto, tornate alle vostre vecchie vite. Tornate agli abusi della polizia ben dosati. Uccidete alla frontiera quelli che arrivano senza scarpe. Lasciateli annegare in mare. Respingeteli. Picchiateli, conficcate le ginocchia nel petto, chiudete gli operai arabi e neri nei macelli, nel senso letterale e in quello figurato. Nel frattempo, nel centro delle città, proteggete i bianchi dal virus. Per voi la previdenza sociale, per loro la socializzazione dei rischi. Per voi il rilancio economico e la democrazia neoliberista, per loro il rilancio della politiche di sicurezza. Lasciate che tornino i führer. Che tornino anche loro dalle vacanze sulle isole deserte, lontano da Lesbo e Lampedusa: Trump, Bolsonaro, Erdoğan, Duda, Orbán, Putin e Lukašenko, mentre il Novichok si prende l’anima di Aleksej Navalnyj e il carcere finisce di mangiarsi il corpo di Ebru Timtik. E già che ci siamo fate tornare anche Sarkozy. Che torni anche Cecilia… pardon, volevo dire Carla. Fate tornare anche la sua chitarra e la sua voce dolce e crudele.

Tornate, ma tornerete solo per rendervi conto che ciò che con tanti sforzi avete ritrovato, ora non ha più senso. Non potete tornare a una vita normale, perché quella che in passato chiamavate ‘vita normale’ non può esistere durante un cambiamento di paradigma, perché anche se le cose sembrano sempre le stesse, non lo sono più. Anche le parole che paiono pronunciate nello stesso modo hanno cambiato senso. Il problema è che nessuno sa quale sarà il nuovo significato. Lo deciderà un algoritmo? Sarà annunciato su Instagram? O sarà oggetto di un decreto? Tornerete con le vostre valigie piene di parole e cose, per poi rendervi conto che non avete le definizioni giuste.

No. La verità è che non vale la pena affrettarsi. Tanto non si può tornare indietro. Sarebbe come pensare di poter tornare su un ponte epistemologico appena crollato. Il mondo che ci siamo lasciati alle spalle, questo groviglio di segni integrati a cui credete come se fossero reali, non c’è più. Le linee che separano i segni sensibili e intellegibili si sono spostate. Non potete tornare indietro. La deriva del migrante verso il nulla è un modello politico migliore di quello del cittadino europeo o nordamericano che vuole semplicemente tornare a casa. Il terrore e il desiderio che animano l’esilio sono più vicini alla mutazione necessaria per affrontare il tunnel in cui ci siamo collettivamente ficcati.

Pratichiamo una nuova migrazione verso il nulla, dove non esiste più un buon pastore né uno stato nazione per accoglierci. È arrivato il momento di spingerci oltre, di non tornare, di scalare la montagna, di lasciare le divinità del capitalismo nelle città, di andare senza padre né madre, senza natura, soltanto con i vivi e i morti. Pensate davvero che l’istituzione, lo stato-nazione, l’industria petrolchimica e farmaceutica o i giganti dell’informatica possano offrirci qualcosa di meglio? La risposta è scontata. Non tornate.

 

 

*di Paul B. Preciado
Articolo pubblicato su Libération e Internazionale