29 Ago 14

Perdonanza in una città in guerra

La Perdonanza 2014 sta per chiudere i battenti, è stata aperta la Porta Santa a Collemaggio, la prima della storia, quella di papa Celestino V che lasciò la bolla del perdono alla cittadinanza, ancor prima che alla chiesa di Roma, ed è per questo che poi inventarono il Giubileo, per oscurare quel Papa rivoluzionario che si dimise contro la corruzione del Vaticano, professando la pace nel mondo. Un messaggio universale che pure L’Aquila non riesce a far sentire. La guerra è in Siria, in Ucraina, in Libia, in Iraq, in Palestina, l’islamismo più intollerante sta trucidando cristiani, ribelli ed oppositori, i patriarchi delle chiese d’Oriente s’appellano alla pace, i rapporti Usa e vecchia Unione sovietica potrebbero di nuovo incrinarsi con la guerra del gas, e mentre accade tutto questo, L’Aquila, non riesce a far passare altro messaggio di pace che non sia la partecipazione al corteo storico della Dama della Croce, un’alpina reduce dall’Iraq o di una ragazza diversamente abile, su tutti i giornali, soprattutto, per le sue diversità. Neanche la sede di un confronto internazionale, siamo riusciti ad essere in questi giorni. Gli assessori e Cialente vanno di corsa tra Caputo, Concato, la Molinari e i concertini delle piazze, non hanno altro tempo che non sia quello da dedicare a questa loro Perdonanza che non riesce a pacificare neanche gli animi di chi la celebra da decenni, visto che L’Aquila è una città dilaniata da contrasti interni ed intestini, esplosi dopo il terremoto, da litigi, invidie e ruberie, è una comunità che dalla solidarietà del sisma ha imparato molto poco, ma tanto ha voluto carpire dai miliardi pubblici per truffe piccole o grandi e per ingegnarsi per rimboccarsi il più tardi possibile le maniche, prendendo fino alla fine sostegno e assistenza dallo Stato. E’ in questa città, che non ha saputo essere di riferimento e di pace per il mondo, e neanche ci ha provato, che bisognerebbe chiedersi che senso abbia oggi il messaggio di Celestino V che scelse di indirizzare le sue parole di perdono proprio alla gente, ai cittadini a quegli stessi cittadini che vivono in una guerra continua, che ammazza ogni giorno di più una comunità già distrutta dalla catastrofe.