19 Mar 14

Siamo senza architetture consapevoli

Achitecture for Humanity, aiuta le comunità travolte da calamità naturali o conflitti a costruire scuole, ospedali, strutture sportive, case e luoghi d’aggregazione dove ritrovare la socialità. Nasce su iniziativa dell’architetto Cameron Sinclair dopo aver assistito nel ’99, al rientro a casa, che non avevano più, degli 800mila kosovari albanesi reduci del conflitto nei Balcani. Un disastro sociale immane, che spinse il professionista a cercare colleghi sulla rete, per progettare alloggi in Kosovo, risposero 25 architetti da trenta paesi diversi, oggi ne sono 4.500 ed oltre 60mila professionisti in un network mondiale, Architecture for Humanity, che realizza progetti per e con le comunità disastrate. Questo per e con le comunità, ci ricorda che invece all’Aquila, soprattutto quel con le comunità, non significò nulla quando decisero a tavolino, cinque anni fa, che avrebbero fatto 19 quartieri per i terremotati, su suolo agricolo, spendendo miliardi da far guadagnare a grosse imprese edili. L’Aquila non è il prodotto di un’architettura consapevole, e non ha avuto neanche grandi architetti a firmargli le 19 new town, viste da subito come quartieri dormitorio, che non avranno nemmeno un futuro di social housing, perché questi alloggi, costati miliardi, non potranno mai sostenere giovani coppie e studenti a pochi soldi di fitto, considerati i milioni che servono l’anno, solo di manutenzioni ordinarie, mentre la fretta nella realizzazione e la poca cura mostrano un evidente degrado. L’Aquila, avrebbe potuto avere un network di architetti, che avrebbe potuto riqualificare aree dismesse dei nuclei industriali o creare il collante con i 19 quartieri, individuando posti chiave da recuperare, da agganciare alle new town, evitando il consumo di altro suolo, ma sono logiche lontane anni luce, dalla realtà.
Fin dai primi giorni del sisma, nei campi e nelle tendopoli, furono subito vietate riunioni, assembramenti e perfino il consumo di coca cola, troppo eccitante, per una massa così imponente, da controllare intanto con l’informazione, che la Protezione civile faceva circolare dopo averla filtrata, per mantenere alto il morale, e mentre ciò accadeva, fuori decidevano a tavolino dei 19 quartieri, dove fin dal settembre 2009 furono smistate le famiglie dai campi. Da allora gli anziani si lasciano morire, i giovani crescono nei centri commerciali, la comunità non esiste più, mentre la vita scorre sempre meno di qualità senza un’identità.