28 Feb 14

Com’era e dov’era, anche scempi e abusi

Il centro storico dell’Aquila doveva essere l’obiettivo principale dell’amministrazione, ricostruirlo meglio di prima, riqualificandolo dove possibile. Purtroppo l’assessorato di Di Stefano non ha voluto, e mantenendo in vigore le regole urbanistiche del Piano regolatore del 1975, tutto dovrà essere ricostruito esattamente com’era prima. Anche gli abusi, anche gli scempi, anche le superfetazioni, tutto. Una nuova pianificazione avrebbe dovuto invece eliminare le strutture brutte, incongrue le definisce la norma post sisma, riqualificando gli spazi pubblici, creando nuove piazzette, verde e luoghi d’aggregazione, interpellato più volte sulla questione, l’assessorato ha sempre risposto che il centro storico è sottoposto per la gran parte a vincolo, non si può fare nulla. Ha però torto marcio, perché anche nel cuore antico della città, l’urbanistica incolta e selvaggia degli anni settanta ha lasciato il segno, un segno da eliminare a seguito di un terremoto che capita ogni trecento anni, ma evidentemente non la pensa così chi amministra la città. Lo Stato aveva reso disponibili 10milioni di euro, per acquistare terreni su cui trasferire il diritto del privato a ricostruire, qualora fosse intervenuto un interesse generale, come nello scavo su via Vicentini, dove insiste la palazzina demolita del civico 207, che ha portato alla scoperta del leone di epoca romana, sull’antica Porta Barete, ma invece di pianificare ogni singolo dettaglio, hanno lasciato tutto all’esclusiva scelta dei proprietari, con regole vecchie di decenni, abdicando ad una regia esclusivamente pubblica, senza spendere un solo centesimo, di quei milioni. Gaetano Fontana, l’architetto consulente del commissario Chiodi, spinse parecchio sulla regia pubblica quando capì che l’amministrazione non avrebbe alzato un dito, per salvaguardare l’interesse generale in centro storico, ma non lo hanno ascoltato. Una palazzina di sei piani a San Pietro, da rifare tale e quale, aveva venti proprietari, ma ne restano sedici perché quattro o forse cinque hanno ceduto il diritto di proprietà al Comune, sarà identica a prima, l’ente pubblico non è riuscito ad imporsi neanche per una ricostruzione meno impattante. Mettere mano alle norme urbanistiche del centro, avrebbe significato troppe inimicizie per una città che ha sempre basato la sua economia sulla rendita immobiliare, in centro storico ci hanno campato con gli studenti universitari per anni, e non solo con loro, rompere questo cerchio magico, sarebbe stato un pericolo che la politica non avrebbe mai potuto correre.