29 Mag 16

Come la creatività di Maria Reiche

Disuguaglianza, sostenibilità, insicurezza, segregazione, traffico, inquinamento, spreco, migrazione, calamità naturali, casualità, periferie e carenza di alloggi sono problemi in cui i diritti umani sono a rischio. Siamo andati a cercare professionisti creativi, innovativi e desiderosi di avventurarsi in campi così complessi. Abbiamo capito che problematiche quali mediocrità, banalità e monotonia dei luoghi in cui viviamo stanno ugualmente minacciando la qualità della vita, abbiamo invitato professionisti coerenti e solidi come riserva naturale dell’architettura contro queste minacce. Così Alejandro Alavena, architetto cileno e curatore della Mostra Internazionale D’Architettura 2016, aperta da ieri fino al 27 novembre prossimo, organizzata dalla Biennale di Venezia, dal titolo Reporting from the front. Spunti preziosi, almeno così dovrebbe essere, per una città come L’Aquila, che non dovrebbe mai rinunciare a guardare oltre la monotonia dei luoghi in cui viviamo e che purtroppo rinascono senza quello sguardo pubblico determinato a credere in una città migliore. Vorremmo che la 15ma Mostra Internazionale di Architettura offrisse un nuovo punto di vista, ha spiegato Alavena, come quello che Maria Reiche aveva dall’alto della sua scala. Durante un suo viaggio in America del Sud, Bruce Chatwin incontrò un’anziana signora che camminava nel deserto trasportando una scala di alluminio sulle spalle. Era l’archeologa tedesca Maria Reiche, che studiava le Linee Nazca. A guardarle stando con i piedi appoggiati al suolo, le pietre non avevano alcun senso, sembravano soltanto banali sassi, ma dall’alto della scala, le pietre si trasformavano in uccelli, giaguari, alberi o fiori. Maria Reiche non aveva abbastanza denaro per noleggiare un aereo e studiare le linee dall’alto, ma l’archeologa era abbastanza creativa da trovare comunque un modo per riuscire nel suo intento. Quella semplice scala è la prova che non dovremmo chiamare in causa limiti, seppure duri, per giustificare l’incapacità di fare il nostro lavoro.