Le feste a Cortina sono occasioni per rinverdire molti stereotipi nazionali, sempre quelli — eterni a questo punto — raccontati dai fratelli Vanzina già negli anni Ottanta. È l’immagine di un ceto medio arricchito e interclassista, che ostenta il proprio successo e una certa opulenza: il manager milanese, il commercialista di Bari e soprattutto l’alto burocrate romano si ritrovano insieme di giorno sulle piste da sci (poco) e la sera al ristorante di lusso (per lo più). Ma credo che, a ben guardare, oggi tra gli sfarzi si sarebbe visto aleggiare un fantasma: il timore che potrebbe non durare a lungo, che dietro l’angolo ci sia il rischio di un declassamento sociale, così Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis nell’intervista pubblicata sul quotidiano Domani.
A Cortina si è visto pure il presidente del Movimento Cinque stelle Giuseppe Conte, e alcuni rappresentanti del Governo. Niente moralismi, per carità. Però l’immagine mi sembra una plastica conferma della mia tesi secondo cui siamo entrati in una stagione post-populista. Niente più tribuni della plebe né leader politici demagogici pronti a infiammare le piazze fomentando aspettative irrealistiche nei delusi e nei rancorosi. Tutte le élite politiche occidentali stanno integrando misure protettive a vantaggio delle classi lavoratrici. I miti proiettivi della rampante società dei consumi si sono appannati, anche a Cortina, e oggi tutti chiedono maggiore protezione, dice Valerii.
Il segmento alto della classe media è troppo ricco per rinunciare ai consumi voluttuari e di status, ma in prospettiva troppo fragile per rimanere arroccato nella torre d’avorio. Le nostre esportazioni hanno continuato a correre anche negli anni di crisi. Chi è riuscito ad agganciare i flussi globali ha vinto.
Ma domani? Una de-globalizzazione probabilmente non conviene a nessuno, ma sappiamo che spesso sullo scacchiere geopolitico si compiono anche scelte irrazionali. A quel punto ci accorgeremo che i successi all’estero del nostro made in Italy, all’ombra dei quali ci siamo glorificati per molto tempo, mascheravano una depressione della domanda interna: i consumi delle famiglie italiane non sono mai tornati ai livelli antecedenti alla grande crisi del 2008.
E cos’è questa malinconia che viene fuori sotto sotto. La malinconia è il sentimento che, a mio parere, definisce meglio il carattere degli italiani in questo momento. Si è malinconici al crepuscolo, di fronte al tramonto. ‘È finita l’era dell’abbondanza’, ha annunciato qualche tempo fa Emmanuel Macron. È finita l’epoca delle sicurezze, aggiunge Valerii. Ci rendiamo conto di essere esposti a rischi globali fuori dal nostro controllo: la pandemia, la guerra alle porte dell’Europa, il pericolo della bomba atomica, l’inflazione a due cifre, il paventato razionamento delle forniture energetiche. Più in generale, la crisi climatica e l’ecologismo come nuovo paradigma della cultura collettiva segnano la fine dell’antropocentrismo inteso come modus vivendi, cioè l’idea di un dominio onnipotente e incontrastato dell’individuo sugli eventi e sul mondo. La malinconia è il sentimento corrispondente di questo nichilismo dei nostri tempi, l’offuscamento delle radiose promesse della modernità.