Massimo Cialente si ritira e fa un bilancio sul suo operato. Lascia in eredità alla città un progetto, scrive nel report. Mi guardo intorno e cerco tracce, semi, qualche radice, di questo immane progetto strategico. Colonnine dell’Enel per ricaricare auto elettriche funzionano a disagio in via Strinella e su via Amiternum, quella su via Amiternum stamattina era attiva, perfino due posti riservati per la ricarica con strisce delimitanti color verde smart, a contrastare violentemente con una città che non respira. Impazzita e nervosa nel traffico, con una viabilità arrangiata tre le rotatorie ed il verde pubblico curato in ogni dove dopo averlo ignorato per anni. Periferie esattamente com’erano, la gente non le vive, negozi dispersi, camion e polveri ovunque, confusione e instabilità, tanti cantieri, è vero, manca però il filo. Cerco un bel progetto di riqualificazione urbanistica, più lavoro e servizi, un qualcosa di bello per il Gran Sasso, più socialità nei Progetti case, qualche chiesa finita, giusto San Pietro e tra qualche giorno festeggeremo il patrono, San Massimo, ma la cattedrale è scoperchiata da otto anni. Dov’è finito il vescovo? Vedo che c’è tanto che comincia a muoversi, ma non spicca un solo intervento che sembri straordinario. Un palazzo, un’architettura, un evento internazionale, un gran concertone, una mostra importante, una cosa una che mi faccia capire che all’Aquila sono arrivati diversi miliardi di euro pubblici ben spesi. Continuo a chiedermi se non sia vittima di una critica impietosa, la risposta è che non riesco ad abituarmi a questa anestesia, di rientro nell’ordinario, quello stesso che ci vedeva vivi sotto Palazzo Margherita a passo lento, tra uffici e negozi, tra il Tropical ed il Bar del Corso a chiacchierare del più e del meno. Volevo di più, avremmo dovuto tutti chiedere di più. Cialente se ne va dicendo che ha impostato cose straordinarie. Evidentemente non le colgo. Burocrazia, regole incerte, l’imbuto della Centrale unica di committenza per la legalità post sisma, se sono stati questi gli intralci a tanti cantieri, resta quello culturale che non abbiamo neanche provato a cambiare.