10 Nov 23

Battere il marciapiede e scarpinare…

E’ difficile fare giornalismo d’inchiesta in Italia?
La politica è stata appaltata ai portavoce. O ai monologhi sui social. Non appena fai una domanda vera s’infuriano.

Sigfrido Ranucci, racconta a Venerdì di Repubblica la vita di Report, è come guidare ogni giorno una Ferrari a trecento chilometri all’ora: non puoi permetterti di sbagliare una curva. Durante la programmazione non stacco per 170 giorni di fila, sveglia alle 5, in redazione fino alle 19, poi a casa, cena, quindi mi rimetto al lavoro: scrivo e riscrivo i testi, preparo le memorie difensive per le querele, spiega il giornalista, la Rai ogni volta che mi arriva una citazione civile, è costretta ad accantonare il 15% della cifra richiesta, finora è andata bene e l’azienda se li ritrova in un fondo, alla fine quello che rischia di essere un costo è una risorsa.

Cos’è per lei il giornalismo d’inchiesta?
Illuminare le zone d’ombra, con libertà, senza padroni. Incidere col tuo lavoro sulla vita dei cittadini.

Ranucci è sotto scorta da tre anni, ma non ha inciso sulla qualità della mia vita. Report è totalizzante.
Degno erede di Milena Gabanelli, impegnata con Dataroom, la rubrica di data journalism sul Corriere, e sempre all’avanguardia, lo volle con sé nel 2005, qualche dirigente mi chiese di togliere la targhetta con il suo nome da questa stanza, racconta Ranucci, ma non lo farò, mi ha lasciato suo figlio, non lo dimentico. E mi ripugna che pensino che l’abbia cacciata io. Scartato dalla Scuola di Giornalismo della Luiss, insegnante di Lettere per un po’, lo scelse la Gabanelli, quando con la mia telecamera testimoniai l’uso delle armi chimiche da parte degli Usa, sulla popolazione di Falluja in Iraq. Fece rumore.

Oggi guadagna lo stipendio di un caporedattore Rai, più un’indennità a puntata di Report, la sua forza, non aver riportato condanne. Il 7 novembre scorso, a Roma, è stato convocato in Commissione Vigilanza Rai, in Aula con lui, la passeggiata della legalità promossa da Articolo 21 in difesa della libertà di stampa. Noi, a differenza della politica, siamo sottoposti al giudizio della magistratura. Ad oggi, dopo 38 anni di professione, ho la fedina penale ancora pulita, nonostante abbia affrontato 176 richieste di risarcimento danni. Nonostante alcuni autorevoli esponenti non volevano che venissi, ha riferito, vengo per un solo motivo: sia un incoraggiamento alla stampa libera a confrontarsi con la politica mentre una parte della politica rifiuta il confronto e va nei salotti comodi.

Qual è il criterio?
Il giornalismo. Un fatto vero, verificato, esposto con continenza, va reso pubblico.

Che consigli darebbe a un giovane che vuole fare il suo mestiere?
Battere il marciapiede, scarpinare. Al tempo di internet non è mai stato così necessario, conclude il giornalista.