Una graphic novel dedicata ad Andy Warhol a trent’anni dalla morte, edita da Becco Giallo ed ideata dallo scrittore Adriano Barone con i disegni di Andrea Officina Infernale Mozzato. Un fumetto ed un’intervista condotta da un personaggio imprecisato all’inventore della Pop Art, l’intuizione geniale di quella che sarebbe diventata l’arte, cioè la commercializzazione di ogni singola espressione della nostra vita ed il vuoto che c’è dietro tante apparenze che vivono. Se volete sapere tutto di Andy Warhol, vi basta guardare la superficie dei miei quadri, dei miei film e della mia persona, ed è lì che sono io. Dietro non c’è niente. Il risultato è un bel prodotto, dove a fare da sfondo all’intervista fumettata, ci sono le opere di Warhol e la sua idea di arte e di vita concentrata nella factory e nei personaggi ed artisti che la frequentavano tra attori di film per adulti, drag queen, personaggi mondani, drogati, musicisti e liberi pensatori. Una forma di racconto che si ispira alle tensioni artistiche di Warhol, che negli anni sessanta anticipò ciò che avrebbe prodotto il capitalismo ed il mondo dello spettacolo: tutto sarebbe stato commercializzabile. Aveva intuito la fine che avrebbe fatto la società contemporanea, la sua solitudine, le tensioni economiche e il disagio. Famosissima l’immagine infinita di Marylin Monroe di cui si occupò, anticipando la leggenda che sarebbe nata da quella morte prematura, prese una foto commercializzata della star e la moltiplicò creando delle maschere e delle manipolazioni grafiche a basso costo. Il prodotto sarebbe stato immediatamente fruibile al pubblico, sarebbe stato infinito e da consumare subito, lo stesso principio che spinge la produzione in serie dell’industria. E’ l’arte stessa, per Warhol, che distrugge l’espressione individuale per diventare logica ripetitiva di una catena di montaggio ed anche per questo lasciò la pittura per la serigrafia. Un’opera in serie come le tante altre che hanno fatto la storia dell’arte, con le immagini infinite a perdere d’umanità e a diventare finte. Con Andy Warhol i sistemi della società del consumo entrano nell’arte, è successo mezzo secolo fa ed aveva ragione.