Con il terremoto, pensavamo saltasse tutto. L’urbanistica, gli abusi, il centro storico violato, l’economia da ripensare, nuove tecniche, tante idee e giovani architetti ed ingegneri a progettare centri e borghi in legno, pietra e acciaio, container colorati per studenti, impilati e funzionali come nelle capitali europee, senza sperpero di denaro e consumo di suolo, per non tradire lo spirito della città universitaria. Quell’Aquila di prima non doveva morire, avremmo voluto continuare a girare per il centro in qualsiasi ora del giorno e della notte, in qualunque giorno della settimana per trovare pub e locali aperti e una città viva e vitale. Sono stati proprio i giovani e i fuorisede universitari a non voler lasciare la città distrutta, i vicoli, le piazze, le chiese, la storia, la fiera del 5 gennaio, una delle più caratteristiche, tradizione di tutti, appuntamento antico, la befana, più importante del Natale per tanti aquilani, più sentita da parecchi nonni, che il regalo lo facevano alla befana. La fiera non è più come prima, manca il centro storico, gli aquilani non hanno più quell’entusiasmo, Alberto Capretti, che ai mercati ci crede, voleva che quello secolare di piazza Duomo diventasse a piazza d’Armi d’avanguardia, lo aveva immaginato come a Barcellona o in Europa, organizzato per settori, con i colori a distinguere i banchi delle merci, più igiene e un salto di qualità, mai più quei resti di ortofrutta abbandonati. Ancora non c’è riuscito, perché la nuova collocazione resta senza identità. Pensavamo ad un nuovo inizio, il terremoto aveva fatto saltare il banco, con i crolli in tutte quelle chiese, eppure restaurate da qualche anno soltanto, ma appesantite da cementi e restauri inadeguati a strutture trecentesche, pensavamo che per quegli abusi qualcuno avrebbe pagato, ci siamo però accorti che non avrebbe mai potuto pagare lo Stato, sono state infatti le Sovrintendenze a fare quei lavori. Avevamo anche creduto che gli abusi edilizi, con garage scavati per forza, solai sventrati e volte indebolite per aggiungere scale interne, avrebbero avuto dei responsabili e neanche un cent, all’inizio dissero così, per i lavori di ristrutturazione. Non ne ha più parlato nessuno mentre i giovani architetti ed ingegneri, i collettivi nati, entusiasti di poter dare una mano, di ricostruire un nuovo centro storico, di contribuire con le loro conoscenze, sono stati ignorati. Forse qualcuno ce l’ha fatta, tutti gli altri, sono stati ingaggiati dalle migliaia di uffici tecnici nati ovunque per sfruttare il business, sono dentro, ma con poche tutele, tra le mille garanzie all’assistenza, zero diritti per i giovani professionisti, a cottimo dei grandi e piccoli studi, mal pagati e messi da parte dai grandi atenei, che hanno fatto incetta di incarichi e progetti. Quel banco non è saltato, anche l’assetto socio economico è peggiorato, è una città che si guarda in cagnesco ormai, quello degli sciacalli che la notte del 6 aprile 2009 ridevano non è stato che l’inizio. Sono arrivate grosse aziende con nomi importanti troppo spesso in fallimento o in concordato, cantieri abbandonati, e privati cittadini in causa da mesi, senza casa, con gli avvocati da pagare, pagheremo anche per la ricostruzione pubblica, l’ultimo caso, da capire bene, quello dei lavori al Teatro comunale. Tutto avremmo immaginato dopo quella terribile notte, meno che saremmo finiti peggio di come eravamo messi.