30 Giu 24

Silver cohousing e riuso creativo nei piccoli borghi, il dossier di Legambiente

Con il dossier “Borghi Avvenire, trend e opportunità per arrestare lo spopolamento e investire su scenari futuri”, Legambiente  celebra il ventennale di “Voler bene all’Italia”, la campagna dedicata ai piccoli Comuni che dal 2004 ha raccolto oltre 8mila adesioni. Di seguito alcuni “Antidoti contro il declino”, riportati nel documento, per rafforzare progettualità, politiche pubbliche e investimenti.

ABITARE RADICE DEL CONDIVIDERE

Le abitazioni totali nei comuni sotto i 5 mila abitanti al Censimento Istat 2001 erano 6,1 milioni, salgono a 7,8 milioni con un aumento del +27,9% al 2021 mentre in Italia l’aumento è del +33,0%. Considerando il generale calo abitativo dei borghi, significa che le abitazioni occupate sono meno densamente abitate e spesso con nuclei unifamiliari. Infatti, analizzando le abitazioni occupate, emerge che, nei comuni con meno di 5 mila abitanti, vi è quasi una abitazione vuota per ogni abitazione occupata. Togliendo le abitazioni con finalità turistica e le non utilizzabili per carenze statiche e mancanze nei servizi e infrastrutture, restano dunque 1.430.648 abitazioni, utilizzabili per la riorganizzazione urbanistica di borghi e territori. Simulando, con una approssimazione ragionevole, l’uso del solo 10% di tale patrimonio – circa 143mila abitazioni – si accoglierebbero circa 320 mila nuovi cittadini: giovani, giovani famiglie, migranti, cittadini urbani di ritorno o di nuovo attecchimento, anche temporaneo ed anche autosufficienti della terza età. Tali augurabili arrivi aumenterebbero le presenze nei borghi del 3,3%.

I lavori di adeguamento potrebbero non essere necessari (ad esempio in case recentemente sfitte e con il vantaggio di canoni più bassi del 40%/70% rispetto ai centro urbani) o essere limitati all’ordinaria manutenzione o, ancora, parzialmente straordinari, con il contributo pubblico. Se dunque ipotizziamo di intervenire sulla metà di queste abitazioni – circa 70mila – con un costo medio di 15 mila euro per alloggio, avremmo un totale di circa € 1,1 miliardi con un indotto occupazionale, diretto e indiretto, di oltre 13 mila nuovi addetti.

SILVER COHOUSING

Il cohousing può avvenire tra persone di ogni età ed è anzi preferibile che ciò avvenga per ibridare stili di vita. Ma in questo caso si considera, senza voli pindarici, il “Silver cohousing” cioè la più probabile la condivisione abitativa in età matura. E’ una tendenza che limita i costi residenziali degli anziani autosufficienti, ma non solo, permette di assisterli meglio nelle loro abitazioni condivise (non in convivenza, dunque, ma in condivisione: camera letto, bagno e piccolo living autonomi, altri spazi e funzioni share condivisi).

Valutando i dati Istat 2022 in calce, è possibile stimare il fenomeno “solitudine domestica”: nei comuni fino a 5 mila abitanti è stimabile in circa il 60% la presenza di persone sole di 60 anni e più, indicativamente corrispondenti a circa 1 milione di cittadini. Nei dati certificati Istat per il target dei borghi più piccoli fino a 2 mila abitanti – dato che colpisce ma non stupisce – gli ultra sessantenni sono il 64% mentre il numero delle presenze femminili è sostanzialmente doppio degli uomini. In altre parole, per circa 1 milione di persone vi sono: 2 anziani ogni 3 persone di cui 2 donne per ogni uomo.

Si consideri che una ‘pensione sociale’ mensile è più bassa o equivalente al costo di un solo giorno di ospedalizzazione (e persone sole tendono a ospedalizzarsi più frequentemente e restare più a lungo). Dunque è auspicabile non vivere da poveri in appartamenti sovradimensionati e in preda a solitudini letali, ma favorire il ‘silver cohousing’ per abbattere i costi del vivere di oltre il 30% della pensione e per socializzare, con un miglior trattamento sanitario e assistenziale, in piccole monadi condivise e controllate.

RIUSO CREATIVO

Utilizzare il patrimonio non residenziale, grazie a una nuova e sostenibile ‘eco-terziarizzazione’, per favorire, come in una città gotica, le attività produttive e creative. Così, ad esempio nei piani terra dei centri storici sarebbe ipotizzabile:

Avere una quota di housing per disabili o non autosufficienti, destinando alcune superfici abitabili e gradevoli a residenze che presentano il vantaggio di non avere ostacoli altimetrici, evitando il “sequestro” di disabili motori in piani superiori e favorendo in tal modo autonomia e relazioni sociali;

Attivare locali pubblici, ad esempio organizzando cooperative di comunità, per presidiare le funzioni essenziali del commercio morente e del vivere condiviso: luoghi di incontro e socializzazione essenziali per la qualità del vivere ma anche per esprimere servizi necessari ad esempio per chi non è autonomo negli spostamenti su gomma; coworking, atelier, temporay use e altre forme ibridate di studio e lavoro che offrono opportunità telematiche e, in parte, formazione per l’accesso al web, integrando e dando risposta anche alle funzionalità ormai dismesse di sportelli bancari, postali, ecc.. Un ruolo decisivo può essere espresso dagli edifici scolastici, attivi e non.

Un target ragionevolmente perseguibile – a fronte di precondizioni favorite dalla mano pubblica, calibrate nella specificità di ogni realtà di borgo e sulla scorta di attività già sperimentate – è di “Mille Atelier” nel prossimo triennio, ognuno capace di attivare alcune decine di presenze quotidiane (equivalenti ad almeno 5 milioni di presenze totali: un efficace antidoto contro ogni patologica solitudine e autosufficienza).

UN ESEMPIO DI PLATEA POTENZIALE? GREAT RESIGNATION

In Italia, “quasi 2 milioni di dimissioni nel 2021 e oltre 2,2 milioni nel 2022, in aumento di oltre il 35% rispetto al 2019. Sono questi i numeri presentati da un recente studio realizzato da Cisl Lombardia, Bibliolavoro e Sindacare, intitolato “Dentro l’epoca della Great Resignation. I nuovi fattori di attrattività del lavoro nella società che cambia”. Valeriano Musiu del Corriere della Sera così sintetizza le motivazioni del licenziamento, scaturita da un approfondita indagine: “in primo luogo l’eccessivo stress-lavoro correlato (36%), il clima aziendale e le relazioni professionali (34,9%), la prospettiva di uno stipendio migliore (29,5%) e, al quarto posto, la necessità di ottenere un miglior equilibrio vita-lavoro e la possibilità di fare smart working (26,2%). Dunque vi è il target di oltre 500 mila dimissionari, in cerca di un equilibrio olistico e di opportunità di lavoro a distanza, che potrebbero guardare con favore una policy borghigiana. E’ inoltre interessante che tale domanda latente di “nuova cittadinanza”, tipicamente giovanile, di chi cerca nuove “exit strategy” è dimostrata anche dal fatto che “un dimissionario su 3 (oltre 700 mila, n.d.r.) non aveva nessuno sbocco alternativo all’orizzonte”.

L’OPERA AGRICOLA

In linea con l’agenda di Legambiente per la nuova legislatura europea, riconosciamo innanzitutto che “la mobilitazione degli agricoltori negli ultimi mesi è dilagata in Italia e in Europa, dando chiaramente prova della profonda crisi in cui versa l’intero settore agricolo”. In tale condizione critica, va naturalmente mantenuta la strategia del Green Deal, nel quale sono ferme le strategie europee “From farm to fork” e “Biodiversity 2030” ma occorre intervenire su palesi criticità quali, ad esempio, l’agricoltore che riceve il 10% del valore del prezzo pagato dal cittadino consumatore o il mancato riconoscimento dei servizi ecosistemici che le aziende agricole producono per il beneficio collettivo. In sintesi, deve essere chiara la svolta verso l’agroecologia, necessaria per ambiente, economia e competitività sui mercati globali. Come analizziamo a seguire, è in atto una trasformazione dell’attore rurale; infatti “la politica comunitaria ha destinato l’80% delle risorse solo al 20% delle aziende, privilegiando quelle grandi e con metodi intensivi. Così in Italia nell’ultimo decennio è scomparso il 29,9% delle aziende (Aziende e SAU per titolo di possesso dei terreni – Istat, Anni 2020 e 2010), mentre negli ultimi 50 anni è stato abbandonato il -26,4% delle superfici agricole territoriali. Per converso non mancano i segnali positivi quali il parziale ritorno di giovani all’agricoltura, l’exploit di prodotti di eccellenza italiana sul mercato internazionale, il connubio tra filiera agroalimentare e attrattività turistica enogastronomica; sono questi elementi di vitalità che possono fare sistema con interessanti interazioni. Così, rispetto a perdita di superfici agricole e crescita delle aree boscate, si possono avere due approcci integrabili, da ponderare e scegliere secondo utilità:
– La “riconquista agricola” dei terreni non più coltivati;
– la gestione efficace del bosco, che ha riconquistato ampie aree agricole, in conseguenza dello spopolamento e dell’invecchiamento umano nelle nostre campagne.

LA RICONQUISTA AGRICOLA

Si ricorda che la SAU è la Superficie Agricola Utilizzata (seminativi, orti familiari, arboreti, colture permanenti, prati e pascoli) mentre la Superficie Agricola Totale comprende superfici produttive, boschi, strade e canali). Il terreno agricolo utilizzabile diminuisce del 3% ogni 10 anni, per motivi di abbandono, dissesto o strategie aziendali e dunque la “presunta riconquista” non è in tali numeri ma nel fatto che aumenta la parte utilizzata della SAU. In altre parole, c’è una propensione all’utilizzazione che sale dal 70% del 2000, al 75% del 2010, al 76% del 2020.

Per quanto riguarda il profilo delle aziende, esse sono la metà di 20 anni fa con la dimensione media più che raddoppiata. Aumenta inoltre il numero delle aziende con terreni in affitto o in uso gratuito (+9% di aziende da “Aziende e SAU per titolo di possesso dei terreni” – Istat Anni 2020 e 2010”) ma soprattutto va segnalato il +19% della superficie utilizzata, che raggiunge ormai i due terzi del totale: è un cambiamento deciso nel segno dell’aziendalizzazione e del superamento del modello familiare.

E ancora, le superficie utilizzate dalle aziende crescono di dimensione, fin oltre i 30 ettari mentre, qualitativamente si segnala che in 20 anni raddoppia la terra destinata a seminativo ed anche il +95% per viti e olivi. Il superamento dell’attività familiare è ribadito a favore della categoria di manodopera “non familiare” con l’esplosione – da meglio comprendere – della manodopera in giornate lavoro femminile (“Persone e giornate di lavoro standard procapite per genere e tipologia di manodopera” – Istat Anni 2020 e 2010).

In sintesi, in 20 anni si sono persi 2,3 milioni di ettari di superficie territoriale agricola di cui 650mila ettari utilizzati, con la chiusura di oltre 1,2 milioni di aziende quasi sempre familiari.

Ma se dal punto di vista agricolo, con un dato estremamente prudente, il 10% delle superfici una volta coltivate e abbandonate negli ultimi 20 anni, fosse riutilizzato con criteri di eco sostenibilità e qualità competitive, avremmo oltre 75 mila nuove aziende agricole della superficie media di 30 ettari ognuna.

LA GESTIONE DEL BOSCO

In Italia nel 2020 la superficie boschiva era pari a quasi il 38% del territorio, in aumento di quasi sette punti percentuali rispetto al 1990 e con il patrimonio forestale più ricco in Europa per diversità biologica, ecologica e bio-culturale con circa 130 specie arboree. Il Paese ha coperture di boschi di latifoglie (23,8%), leccio, faggio e rovere. Le aree con vegetazione boschiva e arbustiva in evoluzione coprono il 10,8% del territorio e rappresentano la transizione delle terre agricole abbandonate o di aree interessate da disastri ambientali a favore di una rigenerazione boschiva.

I dati dell’Inventario Nazionale delle Foreste (Istat, Crea, Carabinieri Forestali e Sisef coordinato dalla Direzione generale Foreste del ministero delle Politiche agricole) indicano che negli ultimi 5 anni le foreste italiane hanno continuato a espandersi, guadagnando 270mila ettari, quanto l’intera provincia di Modena ed oggi occupano 11,4 milioni di ettari, quasi il 40% della superficie nazionale.

E’ interessante notare che l’incremento percentuale nel quinquennio è del 2,9%, negli ultimi trent’anni del 25% e negli ultimi ottanta addirittura del 75%. In altre parole, nel secondo dopoguerra si cercava di coltivare anche nelle condizioni più impervie per soddisfare il bisogno primario di cibo. Altro elemento saliente è rappresentato dal fatto che una gestione razionale è opportunità unica per rafforzare la filiera del legno, essenziale per i vantaggi economici e per i benefici ambientali conseguenti nel nostro Paese.

Se, così, va apprezzato il 97% del materiale che, giunto a fine vita, viene riutilizzato nell’industria dell’arredo, favorendo ambiente e competitività del Made in Italy, occorre oggi intaccare significativamente l’80% di importazioni odierne di legno nel nostro Paese con una azione che creerebbe positivi effetti ambientali ed economici.

Con un ragionevole esempio, se venisse attivata la gestione del bosco soltanto sull’1% dei 2,8 milioni di ettari esistenti nei comuni fino a 5 mila abitanti, avremmo una attività produttiva su circa 29mila ettari con 6.530 addetti stimati.

CONOSCENZA E CREATIVITA’: I BORGHI UNIVERSITARI

La proposta è dunque semplice: considerando la presenza capillare di Università nel territorio nazionale, ognuna di esse potrebbe scegliere una realtà limitrofa quale: “Borgo Universitario
Il piccolo comune più dinamico, che sa creare le condizioni di accoglienza favorevoli, potrà così essere destinatario di un corso/laboratorio universitario annuale – di scienze applicate ma anche di studi umanistici, Belle Arti o Spettacolo – garantendo la presenza di studenti nel Borgo, lezioni ed esercitazioni in loco, proposte applicative ed imprenditoriali, secondo una “mixitè” inclusiva e aperta al territorio.

In urbanistica, Mixité è un concetto principalmente legato alla periferia della città contemporanea, per creare legami molteplici e dove la relazione tra vita pubblica e privata assumono modi innovativi. Fare benchmark di ciò, nelle aree rurali, darà nuovi significati e opportunità, per la comunità e il territorio. Quali? Ad esempio: nuovi residenti temporanei e forse qualcuno permanente; coworking, che possono coinvolgere anche giovani e professionisti residenti; eventi temporanei negli spazi di teatri, piazze e luoghi per interventi “site specific”; nuova socialità, anche con proposte originali di vita condivisa, studi da finalizzare, future start up, ecc.).

Il piccolo comune di anno in anno prescelto sarà dunque una sorta di “Ambasciatore dei borghi” prescelto dall’Istituto di livello universitario perché sarà portatore delle più significative peculiarità (criticità/specificità/opportunità ambientali, culturali, economiche) e, per quanto possibile, le migliori condizioni per ospitare e recepire gli intendimenti di un istituto di livello universitario che svilupperà attività di didattica e implementazione. Se pensiamo a 80 sedi Università pubbliche, 48 sedi di università private e alte scuole, 48 sedi di Accademie di Belle arti e 63 conservatori musicali abbiamo un totale di 239 sedi nelle regioni italiane e, inoltre, frequentemente sono attivati corsi di laurea in diverse città, in quasi ogni provincia, come ad esempio Bologna che ha sedi distaccate a Ravenna, Rimini e Forlì-Cesena. Dunque, ogni Università, Accademia, Conservatorio e Istituti pari livello, potranno dedicare un anno a un borgo con positivi effetti diretti e indiretti: veri casi studio di rilevanza e raffronto nazionale. In tal modo, in 10 anni avremmo coinvolto circa 2.500 realtà, quasi la metà dei piccoli comuni fino a 5 mila abitanti!

SMART WORKING TOWN

Secondo l’Osservatorio Smart Working 2023 Polimi: “in Italia 3,6 milioni di persone lavorano da remoto. Lo Smart Working in Italia si consolida e torna a crescere nonostante le previsioni di una sua riduzione”. Con tali presupposti, ecco una simulazione prudenziale dei possibili, benefici effetti indotti da una policy che favorisse l’espletamento del lavoro smart dai piccoli borghi.

Se solo il 10% di tale forza lavoro – circa 360 mila occupati – venisse favorito nel trovare conveniente/attraente farlo da un borgo (di origine, di elezione, per le qualità ambientali o la convenienza economica) risiedendo 2 giornate lavorative e 1 solo giorno libero del week end per metà anno (circa 26 settimane su 52)

  • avremmo oltre 28 milioni di giornate/uomo/lavoro, che popolerebbero e animerebbero con socialità, acquisti e buon vivere i borghi del Belpaese.
  • Se ciò avvenisse, distribuiti ad esempio in 2.000 dei comuni fino a 5 mila abitanti, ognuno di questi godrebbe di interazioni sociali, economiche e capacità creative come se risiedessero in ognuno di essi fino a 40 nuovi residenti (oltre ad eventuali familiari e ospiti).
  • Le 28 milioni di giornate/uomo/lavoro rappresentano quasi 77mila giornate riportate ad una presenza fissa di 365 giorni all’anno, un impatto che per i comuni tra 4 e 5mila abitanti è pari allo 0,3% ma una quota che sale fino al 2,6% nei piccoli borghi sotto i 1000 abitanti.

Avremmo così sensibili miglioramenti dal punto di vista sociale, perché sarebbe un fenomeno vitale e si genererebbero creatività, stimolo per la collettività e, come dimostrano numerose esperienze, miglioramento delle performance dell’ente locale; le interazioni umane, inoltre, combatterebbero la solitudine endemica, soprattutto della terza età. Economico, perché gli acquisti in empori e negozi darebbero un indispensabile contributo agli esercizi commerciali; gli affitti, opportunamente agevolati o semigratuiti grazie a policy intelligenti, combatterebbero lo spopolamento urbano; non considerando le numerose seconde case che, a costo zero perché di proprietà, potrebbero tornare a rivitalizzare il borgo e professionale in quanto l’offerta di nuove professionalità genererebbe progettualità innovativa, sia privata che con gli enti locali: una forte discontinuità intellettuale e progettuale.

IL TURISMO DEL VIVERE AUTENTICO

Una premessa. E’ giunto il momento che l’inflazionato concetto di Identità lasci spazio al più concreto di Autenticità cioè “Vero, genuino e schietto”, e dunque meritevole. Le oggettive qualità ambientali e paesaggistiche, la naturale intimità dei limitati residenti, le filiere enogastronomiche, l’outdooring o anche i cammini, le reti ciclabili e le ippovie, le culture materiali dall’enogastronomia all’artigianato, la “cultura soffusa” dall’arte all’architettura e le reti immateriali di eventi, sagre e Festival, tematici che densamente aggregano. Se per le città d’arte, la necessità è di superare l’indiscriminata turistificazione che, nella post pandemia, è tornata a saturare severamente le aree urbane, nei borghi si opera per una narrazione diversa, una maggiore esperenzialità e un approccio olistico.

Nel nostro Paese la ricettività nei comuni fino a 5 mila abitanti è di 1,476 milioni di posti letto, il28,4% di quelli esistenti in Italia, che ammontano a 5,2 milioni.

Se la percentuale di utilizzo dei posti letto nei borghi raggiungesse la media italiana della ricettività, secondo i dati del 2022, avremmo il 21,7% contro l’attuale 18,0%, ospitando oltre 113 milioni di presenze delle 412 milioni totali italiane. Questo significherebbe ben 20 milioni di notti/letto in più, con un fatturato indotto aggiuntivo di 2 miliardi di euro e l’attivazione di ulteriori 40mila unità di lavoro oltre alle 187mila già impiegate. Lavorare per l’incremento ragionevole nel territorio esteso, significa contenere la pressione antropica sulle città e metropoli d’arte, in sofferenza nei mesi di maggior afflusso; operare per una efficiente rete telematica per approfondire i contenuti e le peculiarità dei luoghi e le motivazioni di scelta, perché se è vero che il web è la chiave («Attrazione locale/mercato globale) la radice del nuovo turismo sostenibile è nella conoscenza, nell’escursionismo e nella “cittadinanza temporanea”; rinsaldando il legame con gli operatori/attori del settore, per qualificare e coordinare la splendida ma frantumata capacità di offerta: fare rete, per un crescita strategica dell’offerta.

L’OPPORTUNITA’ ENERGETICA

Il fattore energetico è un elemento centrale per la tutela ambientale e un alleato prezioso per le attività economiche e per gli enti pubblici migliorando l’efficienza con l’incentivazione di energia rinnovabile diffusa sul territorio. Anche per questo un ruolo importante è quello ricoperto dai territori comunali fino a 5.000 abitanti nella produzione di rinnovabili scalando le prime classifiche del Rapporto Comuni Rinnovabili di Legambiente. Anche nell’edizione 2024 tra i piccoli comuni “Giganti nelle rinnovabili”, primi nelle rispettive classifiche spiccano: nel fotovoltaico, il Comune di Bellino (RO) con 71,5 kW/abitante, seguito da Giave (SS) con 46,98 kW/abitante e Caglio (CO) con 45,97 kW/abitante. Nell’eolico svettano il Comune di Bisaccia (AV) con 3.534 abitanti e ben 250,2 MW di potenza installata, Foiano di Val Fortore (BN), con 1.320 abitanti e 223,4 MW e Lacedonia (AV) con 2.048 abitanti e 204,7 MW. Infine, nell’idroelettrico sul podio Val di Vizze (BZ) con 3.093 abitanti e 40,9 MW, Moso in Passiria (BZ) con 2.034 abitanti e 30,3 MW e Borzonasca (GE) con 1.824 abitanti e 26,8 1MW. In questo salto in avanti nella transizione energetica i piccoli comuni oggi sono protagonisti con il fondo del PNRR di ben 2,2 miliardi a fondo perduto per la costituzione di comunità energetiche per realizzare sia maggiore sostenibilità ambientale ma anche coesione comunitaria e innovazione sociale. Secondo stime Legambiente l’investimento sui piccoli comuni delle rinnovabili con una potenza di 2 GW al 2030 dovrebbe ridurre 5,5 milioni di tonnellate di CO2 risparmiata, un investimento di 1,6 miliardi con 250 milioni di euro di valore aggiunto ovvero ricadute economiche sulle imprese italiane attive lungo la filiera delle rinnovabili e 2.200 nuovi posti di lavoro diretti.