01 Mag 21

Festa del lavoro, torno a casa depressa/o

Giovane, donna, laureato, inoccupato/disoccupato, tra i lavoratori più colpiti dalla pandemia, chiunque io fossi, pur volendo informarmi, accontentarmi, capire qual è la prospettiva e cosa posso fare nel frattempo che mi arrivi uno di quegli 800mila posti di lavoro promessi dal recovery fund, ovunque io vada, ad oggi, tra Uffici per l’impiego, sportelli negli enti, nelle associazioni datoriali e sindacali o di categoria non trovo risposte e competenze adeguate, torno quindi a casa depressa/o.

Già le risorse europee sono entità ectoplasmatiche che vagano nell’aire da qualche decennio senza che nessuno, dall’altra parte della barricata, si sia informato bene per illustrarmele, sappia semplificarmi un percorso, sappia indicare ai referenti politici e sindacali quali sono i problemi da portare a Roma e a Bruxelles per snellire le procedure di accesso ai bandi, perché poi il limite non è solo la lingua, spesso esclusivamente francese, ma la modalità per pochi, per chi è già dentro il giro che mi lascia fuori, lascia fuori intere categorie di persone e così quei fondi vanno sempre agli stessi e cioè ad enti forti, capaci di aggregarsi o di anticipare risorse che arriveranno poi tra dieci anni, oppure tornano indietro perché appunto non riusciamo a spenderle.

Quindi, ricapitolando, io cittadino normale disoccupato, inoccupato e anche un po’ depresso, donna, uomo, giovane, ultra cinquantenne, estromesso dai lavori che non vanno più e da quelli che non hanno tenuto botta con due anni di fermo: che dovrei fare?

Il primo maggio dovrebbe voler dire lavoro che non c’è, ma intanto capacità di risposte e adeguata preparazione che neanche c’è. Perché poi, intanto che aspettiamo gli 800mila posti del recovery nel 2026, un tot l’anno a leggere il piano, si potrebbe agire nelle istituzioni per introdurre personale capace di informare. Capace di interagire col neo laureato che capirà presto che tra la bella teoria dei testi e dei professori che gli hanno insegnato a volare c’è la realtà del dipendente pubblico/sindacale poco professionalizzato e anche un po’ scazzato che ti dirà sempre ripassa domani. Oppure ti rimpalla di ufficio in ufficio per cui trascorreranno settimane quindi mesi e sfido chiunque a trovare l’entusiasmo giusto per non arrendersi. Facile, poi, nelle statistiche, parlare di chi non studia non lavora non si forma e non cerca più. Vorrei vedere i tanti parrucconi.

I navigator. Vogliamo parlare dei navigator e vogliamo poi parlare del reddito di cittadinanza, giusto o sbagliato che sia comunque la si pensi che ha portato? Qualcuno lo sa? Oggi primo maggio ne sentiremo di ogni, ma finché non si comincerà a costruire ponti, fattibilissimi a cominciare proprio da oggi, con la buona volontà della politica, degli enti pubblici e privati, delle associazioni di categoria e dei sindacati, per raggiungere neo laureati, disoccupati e inoccupati con opportunità, conoscenze, semplificazioni, sburocratizzazioni, digitalizzazioni e facilitazioni per affiancare chi cerca di formarsi di nuovo, di modificare la propria professionalità che non vuole più nessuno per affrontarne una nuova per i nuovi lavori, ponti per agevolare, per accompagnare davvero nella ricerca della propria identità lavorativa, resteremo sempre allo stesso punto morto.

Questa è la sostanza di paroloni grossi come transizione verde, digitalizzazione, ricerca e formazione, semplificazione e sburocratizzazione, questa sarebbe la concretezza attesa anche dalle imprese, dai giovani e meno giovani che vogliono fare impresa ma invece è sempre tutto così difficile, anche senza cercare sussidi e sostegni economici, perché non si hanno risposte veloci a proposte innovative ed è tutto incancrenito in una burocrazia ignorante e senza via d’uscita che condanna tutti al palo.

E se continuiamo a mantenere tutto così, se i partiti metteranno le mani sui 30mld e se li spartiranno senza un briciolo di prospettiva la fine sarà solo una. Un nugolo sempre più ristretto di ricchi, incapace di guardare oltre la finestra ed una massa di poveri, impoveriti, intellettualmente ricchi e anagraficamente depressi che prima o poi andranno a prendere da soli quello che gli tocca.