Se M5S e Terzo Polo vogliono continuare ad andare da soli si riveleranno i migliori alleati della destra, ha dichiarato Stefano Bonaccini, in corsa con Elly Schlein per la nuova leadership del Partito democratico, a poche ore dalla chiusura dei seggi elettorali per il rinnovo dei Consigli regionali di Lazio e Lombardia.
Ha vinto il centrodestra con Francesco Rocca nel Lazio, dopo il decennio di Nicola Zingaretti, Pd; e Attilio Fontana, leghista, in Lombardia, confermato per il prossimo quinquennio.
Entrambi sopra il 50%, con un’affluenza precipitata al 40%, nel Lazio al 37,2%, addirittura a Roma al 33%, in Lombardia al 41,6, e circa il 30% di votanti in meno rispetto a cinque anni fa.
Gravissimo per noi elettori, marginale per gli equilibri di potere che si giocano in queste ore, perché se è vero com’è vero che il Governo Meloni è stato promosso, in particolar modo in Lombardia, d’altra parte sono cambiati gli equilibri e Fratelli d’Italia non starà certo alla finestra a guardare, mentre la Lega dovrà fare i conti con i militanti che probabilmente, ma Salvini sa bene quanto potrebbe essere in bilico, spingeranno sulle autonomie per dare risposte alla propria gente, con frizioni da gestire direttamente a Palazzo Chigi.
E a quel punto Giorgia Meloni, se a Milano cercherà di avere le deleghe più strategiche, come la Sanità, a Roma dovrà tenere insieme gli alleati, con il leader storico Silvio Berlusconi, costretto alla sopravvivenza e a difendere il fortino azzurro dalle correnti che tentano la scalata. Ma tutto sommato il centro destra dimostra una volta di più di saper vincere, di saper fare squadra, di saper fare delle cose e di saperle fare insieme agli alleati.
Tutt’altra musica nel centro sinistra, dove il Pd ragiona ancora da forza trainante di una coalizione inesistente, mentre gli alleati biologici sognano di poterne guadagnare la guida. Ed è questa la battaglia.
Giuseppe Conte, come pure Azione-Italia Viva, con Carlo Calenda-Matteo Renzi, sono pronti a fare la conta dei voti per capire chi comanderà cosa, in un’eventuale possibile coalizione futura.
Se la leadership di Giorgia Meloni è dunque matematicamente granitica, nel centro sinistra è da ri-guadagnare, inutile quindi scindere l’atomo pensando che da una vittoria di Bonaccini, piuttosto che della Schlein, il Pd riprenderà magicamente il proprio posto a capo di un’intesa con i naturali alleati, non sarà così facile, tanto risulta eroso il consenso progressista e la fiducia di un elettorato che non riesce più a convincersi del fatto, che è meglio andare a votare turandosi il naso, che non andare proprio. Il Pd non può contare su fattori genetici e identitari, con un’inconsistenza cronica a cui pare condannato elezione dopo elezione, dalle amministrative alle Politiche, fino alle attuali regionali.
E a nulla servirà che Bonaccini/Schlein attacchino il segretario uscente Letta, a questo gioco non ci vuole giocare più nessuno, mentre il rischio serio è che questa leadership, che non è un’investitura divina, si perda irrimediabilmente. Bonaccini non Bonaccini, Schlein non Schlein. Se invece il Pd guadagnasse qualche punto rispetto alle Politiche di qualche mese fa, si accomoderebbe con la convinzione di una rinascita, tutta da riempire con proposte e programmi, che il nuovo segretario dovrà imbastire tra alleanze e strategie.