18 Mag 21

Tecnici al potere lontani dalle comunità

Nei testi antichi e nelle narrazioni storico politiche “l’anomia” era citata per definire l’assenza di norme, stato di illegalità, intolleranza alle regole, ai vincoli di un gruppo di individui o addirittura di una società.

“L’anomia”, dal greco a-nomos, senza norme, nel tempo ha esteso il suo significato, non in senso letterale, fonetico o morfologico, ma ha assunto anche un concetto sociologico teso a descrivere il disagio e il malessere che gli individui vivono in un determinato momento storico.

Sia l’individuo che un contesto sociale più ampio possono vivere un malessere o un disorientamento di fronte ad una mancanza di riferimenti certi, valori riconoscibili, certezze del proprio futuro.

Si pensi al problema del lavoro, di una casa, di una carriera, la possibilità di creare una famiglia o si pensi, salendo di scala, ai cambiamenti climatici, ai flussi migratori, ai conflitti religiosi, alla coesione sociale.

La pandemia avrà sicuramente accentuato ed amplificato il senso di perdita dell’orientamento sociale, dei punti certi, del proprio futuro.

La domanda che mi pongo: quali certezze  l’individuo o interi corpi del contesto sociale avevano prima della pandemia?

Fiducia nelle istituzioni rappresentative, sicurezza nelle relazioni, speranza nei sistemi scolastico, giuridico, politico, sanitario ovvero l’individuo è innanzi ad un mondo incontrollabile, sperso, nichilista e quindi tendente all’anomia?

Anthony Giddens (nella foto), laburista ideatore della Terza Via, quella di Tony Blair, ritiene che si sia perso il controllo del mondo, del suo sviluppo e così si è accresciuta la distanza tra la società e chi detiene il potere.

La stratificazione di organi con potere legislativo e normativo come le commissioni europee, i governi nazionali, quelli regionali, gli enti intermedi, sovracomunali, le authority, le raccomandazioni sulla corretta interpretazioni delle norme, le linee guida e tanto altro hanno finito per confondere e creare un sistema contorto più che complesso.

Si pensi ai numerosi e complicati decreti emanati per il contenimento della pandemia, alla concorrenza tra Stato e Regioni, alle commissioni dei tecnici o si pensi alle numerosissime Ordinanze commissariali (oltre 100) per affrontare la ricostruzione post sisma 2016/17 nell’Italia centrale.

Un ginepraio di norme e prescrizioni spesso assurde e ripetitive che amplia la distanza tra governanti e governati e frammenta ulteriormente la fiducia nelle istituzioni creando imbarazzo e difficoltà.

Possiamo dire che l’eccessiva normazione formulata da una tecnocrazia letteralmente irresponsabile, che ha preso il posto della politica, ha creato un principio di irrealtà che soverchia quel sacro postulato del buon senso del padre di famiglia.

Si è creato nel tempo un conflitto, difficilmente sanabile a breve e medio termine, tra le reali necessità della società in senso lato e le risposte che la politica e le sue articolazioni possono offrire.

Quando si parla di riforme dovrebbe intendersi proprio la capacità di migliorare l’accesso ai diritti e ai bisogni del cittadino, garantire l’inclusione, il lavoro non precarizzato, il dialogo con una Pubblica Amministrazione riformata ed efficiente, una Sanità meno fragile e più pubblica, una Scuola maggiormente aderente alla reale necessità dei giovani, una Giustizia più giusta, ma siamo sicuri che le riforme andranno in questa direzione o creeranno una maggior confusione che ci spingerà inevitabilmente verso l’ anomia?

Le riforme auspicate ed attese dall’Europa, ma necessarie all’Italia, di chi saranno figlie? Da quale idea di società scaturiranno? Sapranno rispondere alla domanda di maggior sicurezza sociale? O saremo ancora preda di una politica che si affida alla tecnocrazia e ai civil servants come se lo Stato fosse un’azienda privata in onore ad una maggior competenza?

La  tecnocrazia ammantata di competenze sui bilanci, sui processi economici, sui tagli di spesa necessari, sui flussi di cassa, sulle poste in bilancio, sull’efficientismo burocratico e di pianificazione se non è “asservita” ad un’idea precisa e riconoscibile di società e di Stato ci condurrà nelle fauci di un nuovo Leviatano.

 

*di Vladimiro Placidi