Adi, Associazione disegno industriale, ha proposto ai candidati sindaci un Manifesto in quattro punti per costruire città migliori, per innescare un cambio culturale nel modo in cui si affrontano i problemi e si elaborano soluzioni nel quotidiano di una comunità.
Per vivere meglio occorre innanzitutto cambiare mentalità, ma anche adottare scelte politiche e strutturali che favoriscano nuovi rapporti tra i cittadini, migliori modi lavorare e di vivere nella città, qualunque ne sia la dimensione o la posizione geografica, si legge nel manifesto. Il design, inteso come metodo di lavoro tipico del designer, assicurerebbe il cambio di rotta, per Galimberti presidente ADI, le amministrazioni affrontano generalmente i problemi in maniera verticale, con un approccio tipicamente ingegneristico. Secondo noi è importante inserire anche una visione di sistema, quindi quel design di processo che è caratteristico del nostro saper fare design e serve a mettere in filiera i diversi elementi che compongono un sistema, gestendo quindi in modo orizzontale, per così dire, le tante verticalità.
Intanto l’istituzione in ogni grande città, ma anche piccola perché no, di un Design manager, una figura che esiste già in altre metropoli europee, come Parigi o Copenhagen, in grado di operare una sintesi della complessità urbana, per rispondere a bisogni che toccano ambiti concreti, come la mobilità o la qualità dell’aria, l’abitare o i luoghi del lavoro e della cultura, ma anche il rapporto tra libertà e democrazia, con un’attenzione speciale ai giovani e alle fasce più fragili.
In secondo luogo gli oggetti delle città e gli arredi urbani fino alle penne utilizzate negli uffici pubblici. L’Adi chiede di includere la qualità del design tra i requisiti dei bandi delle amministrazioni locali. Acquistare prodotti ad alto contenuto di design, si legge ancora nel manifesto, è un investimento prima che una spesa. Inserire nelle gare di assegnazione degli appalti e degli acquisti un punteggio per prodotti o servizi di buon design, in base a parametri condivisi e dichiarati, è una scelta concreta di appartenenza a un mondo che intende essere migliore.
Criteri legati alla sostenibilità dei materiali, alla durabilità, al recupero a fine vita, ma anche alla funzionalità e capacità di rispondere alle esigenze dei cittadini, sottolinea il presidente Adi Foundation, Umberto Cabini, criteri oggettivi per comporre la qualità di un prodotto.
E ancora, una città di design lavora per sostenere la cultura del luogo, favorendo il dialogo tra i diversi attori del territorio, a cominciare dalle fondazioni culturali locali, in un rapporto virtuoso tra pubblico e privato. L’obiettivo, per Galimberti, è coordinare e valorizzare il lavoro di ciascuno, supportando le singole iniziative ed evitando inutili sovrapposizioni.
L’ultimo punto focalizza l’educazione al consumo responsabile di tutti i cittadini, fin dalla scuola. Un’educazione che proprio nell’uso consapevole del design, può trovare uno strumento utile alle giovani generazioni per affrontare le scelte del loro futuro, in termini di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Cambieremo mai mentalità?