L’autonomia finanziaria è un tassello importante dell’autonomia personale di ogni individuo, della possibilità di fare delle scelte per sé, di sentirsi liberi e libere. Non solo: è una chiave fondamentale per l’uscita dalla violenza di genere che, per definizione, è legata al voler limitare la libertà di azione e di pensiero della propria compagna/moglie/ex compagna/ex moglie, ovvero in nome di una cultura maschilista che reprime, limita, controlla la donna in quanto donna, così in uno stralcio del libro Ho detto no. Come uscire dalla violenza di genere, ed. IlSole24ore, delle giornaliste Chiara di Cristofaro e Simona Rossitto in questi giorni in edicola. Comprendere fino in fondo il valore dell’autonomia finanziaria significa fare i conti con la situazione lavorativa delle donne nel nostro Paese, con la possibilità che hanno di produrre reddito e di sostenersi dovendo far fronte anche ai carichi di lavoro familiare ripartiti in maniera impari.
In Italia il tasso di occupazione femminile è pari solo al 49% contro il 62.7% dell’Ue.
Lavora in media una donna su due se ha almeno un figlio di età inferiore a sei anni, contro l’83.5% degli uomini, un divario superiore non solo alla media europea ma superiore a quello di ogni altro Paese in Europa.
L’indice che, più in generale, misura l’uguaglianza di genere in Europa è quello dell’Eige, European institute for gender equality, e l’Italia risulta al 14mo posto, circa a metà classifica. Da notare, però, che nell’ultima rilevazione l’Italia registra il punteggio più basso dell’Unione europea proprio nel settore del lavoro e che, dal 2010 a oggi, ha registrato i progressi minori nell’area del denaro. Le donne inoltre sono più propense ad accettare lavori meno qualificanti, o rinunciare del tutto al lavoro, per occuparsi del lavoro di cura non retribuito.
In Italia le donne svolgono ogni giorno 5 ore e 5 minuti di lavoro non retribuito di assistenza e cura al giorno, mentre gli uomini un’ora e 48 minuti. In sostanza, le donne si fanno carico del 74% del lavoro totale non retribuito di assistenza e circa.
Un fattore, questo, che pesa anche sulla scelta di molte donne di lavorare part-time: sono il 33% circa, un part-time che è involontario nel 60.8% dei casi.
E così, il risultato di tutto questo lo troviamo anche nella retribuzione nonostante oltre il 26% delle donne sia sovra istruito per il tipo di impiego svolto, è alta la percentuale di lavori con livelli retributivi bassi (11.5%). Lo stipendio medio femminile in Italia è tra i più bassi in Europa ed è inferiore di un quinto rispetto a quello dei colleghi maschi (il 18% circa). In termini assoluti è come se, di fatto, le donne lavorassero un mese in meno degli uomini, sul fronte dello stipendio e non delle ore lavorate.
Sono queste diseguaglianze, queste storture, figlie di una cultura che vedeva, e troppo spesso vede ancora, la donna a servizio dell’uomo e della famiglia, le disparità che fanno da cornice e da terreno in cui affonda le radici anche la violenza di genere e, con lei, la violenza economica. Un contesto in cui il denaro diventa quindi un ulteriore strumento di esercizio di potere e controllo, così difficile da riconoscere, rilevano le autrici.
La mancanza di indipendenza economica sembra costringere le donne a subire la violenza per periodi più lunghi, per Linda Laura Sabbadini, della Direzione centrale Studi Istat, leggendo i dati dei Centri antiviolenza e delle Case rifugio, ed è alta la percentuale di donne senza indipendenza economica che hanno subito violenza, il 61.6% delle vittime di stupro, infatti, non erano economicamente autonome.
Ed è su questo che dovrebbe misurarsi prioritariamente la politica. Politiche nuove perché la donna sia più autonoma e indipendente, più forte dentro casa, dove si consuma la maggior parte dei reati di violenza di genere. E con la stessa retribuzione dell’uomo, ma se ne parla da decenni ormai.