Ho riletto un colloquio su L’Espresso di Enrico Arosio con Oriol Bohigas, tra i più importanti architetti ed urbanisti catalani, al suo arrivo a Bologna qualche anno fa, per una lectio al congresso Saie, sulle politiche di riqualificazione urbana. Ho pensato che al prossimo Salone della ricostruzione all’Aquila, ai primi di aprile, non si andrà oltre il materiale da vendere alle imprese e qualche confronto tra progettisti locali, che racconteranno la loro esperienza. Bohigas, classe 1925, crede tuttora nell’intervento pubblico anche nell’economia, si deve a lui l’esplosione delle architetture a Barcellona, con le Olimpiadi del ’92, ed i progressi straordinari di quella città dal punto di vista urbanistico ed edilizio, e non crede che un Piano regolatore, debba essere solo consumo di suolo, ma piuttosto tradursi in urbanistica reale, con la metodologia del fare città, non più con Piani regolatori che non arrivano a definirne la forma architettonica, che invece è importantissima: non c’è città senza forma e qualità. All’Aquila, è passata qualche giorno fa una variante al Piano regolatore, datato 1975, che rende edificabili quasi 700 ettari di terreni a vincolo decaduto, e dopo aver costruito 19 nuovi quartieri su suolo agricolo, e oltre 2mila casette, spesso, su terreni a rischio idrogeologico, ci si chiede quanto spazio e quanto tempo resti, ad una città da ripensare completamente. Secondo Bohigas, un buon sindaco dovrebbe pensare in termini architettonici, o essere aiutato a farlo, non ignora, in Spagna come in Italia, la speculazione edilizia degli ultimi sessant’anni, il 90% dell’edilizia è di cattiva qualità, l’edilizia pubblicata sulle riviste non arriva al 5%, notava infatti realisticamente. Tuttavia la ricetta per la riqualificazione architettonica di Barcellona, nel ’92, l’ha azzeccata. Non è convinto che si debba conservare a tutti i costi, ma crede piuttosto in una città vivibile e con servizi efficienti, serve però una buona regia pubblica per intervenire nell’arredo urbano e negli spazi verdi, negli spazi pubblici e privati, nell’indirizzare la rete dei trasporti, ma un punto diventa fondamentale, dietro deve esserci l’idea ed il filo conduttore che non abbandonino la tradizione europea, di un modello continuo di città, delimitato e qualificato per seguire invece l’americanizzazione della città dispersa, estesa all’infinito, discontinua e piena di vuoti. Concretamente quello che sta accadendo all’Aquila, che invece di recuperare, armonizzare ed unire, continua a frammentare e a disperdere con i 19 quartieri del Progetto case, e con le quattro o cinque speculazioni edilizie per lo più su quartieri, inserite nel Piano di ricostruzione, senza un’idea e una forma architettonica che armonizzi le scelte e faccia rinascere il capoluogo secondo un modello. L’urbanista catalano ha studiato Piani regolatori e riqualificazioni urbanistiche per diverse città italiane, avendo nel suo bagaglio professionale il successo della rinascita di Barcellona. L’Aquila, ha preferito non puntare troppo in alto scegliendo tecnici ed urbanisti d’apparato, pronti solo ad assecondare le aspettative della politica.