In quest’anno – così difficile per la Magistratura italiana – cade il quarantesimo anniversario dell’uccisione di Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato, Gaetano Costa, e il trentennale dell’assassinio di Rosario Livatino, magistrati che hanno perso la vita a causa del loro impegno nel contrasto alla violenza terroristica e mafiosa, così Sergio Mattrella al Quirinale davanti ai familiari delle vittime e alle altre autorità.
Erano consapevoli dei rischi cui erano esposti e li hanno coraggiosamente affrontati per rispetto della dignità propria e di quella del loro compito di magistrati. Hanno svolto la loro attività, con coraggiosa coerenza e autentico rigore, senza rincorrere consenso ma applicando la legge. Fedeli soltanto alla Costituzione, l’unica fedeltà richiesta ai servitori dello Stato a tutela della democrazia, l’unica fedeltà cui attenersi e alla quale sentirsi vincolati.
Avverto il dovere di sottolineare che la coerenza giurisprudenziale nell’interpretazione delle norme rafforza la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario, giacché dà attuazione al principio di uguaglianza consacrato nell’art. 3 della nostra Costituzione, assicurando la parità di trattamento tra casi simili. Occorre, infatti, aver ben chiaro il confine che separa l’interpretazione della legge dall’arbitrio e dalla ricerca della pura originalità nella creazione della regola, che determinano spesso un disorientamento pericoloso dovuto all’imprevedibilità della risposta giudiziaria.
I nostri cittadini hanno diritto a poter contare sulla certezza del diritto e sulla prevedibilità della sua applicazione rispetto ai loro comportamenti. Questo vale per la giustizia civile, penale, amministrativa e contabile: non possono essere costruite ex post fattispecie e regole di comportamento.
La magistratura deve necessariamente impegnarsi a recuperare la credibilità e la fiducia dei cittadini, così gravemente messe in dubbio da recenti fatti di cronaca. In amaro contrasto con l’alto livello morale delle figure che oggi ricordiamo. La documentazione raccolta dalla Procura della Repubblica di Perugia – la cui rilevanza va valutata nelle sedi proprie previste dalla legge – sembra presentare l’immagine di una magistratura china su se stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all’attribuzione di incarichi.
Questo fenomeno si era disvelato nel momento in cui il Csm è stato chiamato, un anno addietro, ad affrontare quanto già allora emerso. Quel che è apparso ulteriormente fornisce la percezione della vastità del fenomeno allora denunziato; e fa intravedere un’ampia diffusione della grave distorsione sviluppatasi intorno ai criteri e alle decisioni di vari adempimenti nel governo autonomo della magistratura, che ha svolto la propria funzione senza esitazioni o remore di alcun tipo, senza ignorare il rischio che alcuni attacchi alla magistratura nella sua interezza siano, in realtà, strumentalmente svolti a porne in discussione l’irrinunciabile indipendenza. Indipendenza che ho, per dovere costituzionale a me affidato, il compito di tutelare con determinazione.
Non può essere, però, in alcun modo, sottovalutato che queste vicende hanno gravemente minato il prestigio e l’autorevolezza dell’intero ordine giudiziario, la cui credibilità e la cui capacità di riscuotere fiducia sono indispensabili al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica.
La limpidezza del modo di agire anche nella vita associativa, e la credibilità in tutte le decisioni che riguardano il Consiglio superiore – dalle nomine agli avanzamenti, ai provvedimenti disciplinari e, prima ancora, alle candidature al Consiglio – costituiscono per i cittadini un metro di valutazione della trasparenza e della credibilità anche delle decisioni assunte dalla magistratura nel rendere giustizia.
E’ indispensabile porre attenzione critica sul ruolo e sull’utilità stessa delle correnti interne alla vita associativa dei magistrati. Come per qualunque settore di impegno collettivo, appartiene alla normalità la varietà delle prospettive e delle posizioni sui temi della organizzazione della giustizia e sul valore della giurisdizione. La dialettica fra posizioni diverse, il cui valore è indiscutibile, come espressione di pluralismo culturale, rappresenta una ricchezza per le nostre istituzioni. Questa dialettica diventa, tuttavia, deleteria allorquando le differenze si traducono in contrapposizioni sganciate dai valori costituzionali di riferimento poiché fanno perdere di vista l’interesse comune ad avere una giurisdizione qualificata e indipendente. Appare davvero necessario un ‘rinnovamento culturale per rigenerare valori’ come pure è stato scritto nei giorni scorsi.
Il compito primario assegnato dalla Costituzione al Csm impone, in modo categorico, che si prescinda dai legami personali, politici o delle rispettive aggregazioni, in vista del dovere di governare l’organizzazione della magistratura nell’interesse generale.
Sono state preannunciate modifiche normative che dovranno necessariamente articolarsi lungo il tracciato delineato della Costituzione. Indipendenza e autonomia dell’ordine giudiziario sono principi fondamentali, irrinunziabili per la Repubblica. E di ciò andrà tenuto conto.
È necessario che il tracciato della riforma sia volto a rimuovere prassi inaccettabili, frutto di una trama di schieramenti cementati dal desiderio di occupare ruoli di particolare importanza giudiziaria e amministrativa, un intreccio di contrapposte manovre, di scambi, talvolta con palese indifferenza al merito delle questioni e alle capacità individuali.
Occorre altresì recuperare la consapevolezza che fra i doveri di ciascun magistrato rientra l’attiva partecipazione al governo autonomo della magistratura in ogni sua articolazione. Tutto questo si inserisce nell’ambito della doverosa responsabilità nell’esercizio di pubbliche funzioni, nel rispetto rigoroso dei principi e delle regole della Costituzione.
A questo riguardo – ad esempio – si odono talvolta esortazioni, rivolte al Presidente della Repubblica, perché assuma questa o quell’altra iniziativa, senza riflettere sui limiti dei poteri assegnati dalla Costituzione ai diversi organi costituzionali; e senza tener conto di essi.
In questo modo si incoraggia una lettura della figura e delle funzioni del Presidente della Repubblica difforme da quanto previsto e indicato, con chiarezza, dalla Costituzione.
Il Presidente eletto dal primo Parlamento repubblicano – Luigi Einaudi – ebbe a dichiarare che intendeva lasciare al suo successore ‘immuni da ogni incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce’: non intendeva cioè trasmettere una sfera di compiti e poteri inferiore a quella affidatagli dalla Costituzione.
Sono stato, e rimango, costantemente attento a quell’aspetto e – in base al medesimo criterio – ho ritenuto, e ritengo, di avere il dovere di non pretendere di ampliare quella sfera al di fuori di quanto previsto dalla Costituzione e dalla legge.
Non esistono motivazioni contingenti che possano giustificare l’alterazione dell’attribuzione dei compiti operata dalla Costituzione: qualunque arbitrio compiuto in nome di presunte buone ragioni aprirebbe la strada ad altri arbitri, per cattive ragioni.
Vorrei ribadire che la dialettica proficua tra i poteri si esprime in confronto necessariamente collaborativo. Gli ambiti rispettivi di spettanza non sono recinti da contrapporre gli uni agli altri e di cui cercare di erodere i confini, sottraendo spazi di competenza a chi ne ha titolo in base alla Costituzione.
Si tratta di un principio basilare nel sistema costituzionale, insito nelle regole fondamentali della democrazia. Non vi è spirito di corpo o desiderio di affermare il ruolo e l’influenza del potere che si impersona, o di cui si fa parte, che possa giustificare queste distorsioni.
Questo vale costantemente, per tutti e per ciascuno.
Ci troviamo in una fase in cui l’Italia è chiamata a un impegno corale di ripresa, dopo la drammatica emergenza della pandemia – tuttora presente – e le sue conseguenze, di salute, economiche e sociali.
All’intera società è richiesto il rispetto di un’etica civile che chiama tutti alla responsabilità: ogni cittadino, ogni istituzione, ogni settore sociale.
A tutti e a ciascuno è richiesto il coraggio di abbandonare atteggiamenti fondati su prospettive limitate, di corto respiro, che, distorcendo la vita delle istituzioni, rischiano di delegittimarle.
È un dovere istituzionale che grava su ciascuno.
E che non può essere eluso.