26 Ago 15

L’Aquila è finta, senza le sue ferite

Ho faticato per trovare un programma della Perdonanza celestiniana. Avrò cercato male anche sul sito della 721^ edizione, quella in cui non si smetterà di parlare dei 3mila e passa giochi di luce che hanno illuminato la facciata meravigliosa della basilica di San Bernardino, rilanciati sui social in tutte le salse per ricordarci che L’Aquila è bella. Chi sa quanto reggiamo però, nella ricerca spasmodica delle buone notizie a parlare solo e soltanto di quello che va, che ha funzionato, che è stato restaurato, come la Basilica appunto, frutto dell’impegno dei frati proprietari e del Montepaschi. Non di certo dello Stato, della Chiesa o dell’amministrazione comunale, e siccome vogliamo solo buone novelle, giù di brutto coi giochi di luce sulla facciata chi sa per quanti anni. La realtà è quella di una città che rinasce troppo lentamente, le cui chiese sono al 99% abbandonate ai puntelli, mentre la cattedrale di San Massimo degrada scoperchiata da sei anni sotto le intemperie del tempo. Lo voglio dire, non voglio vivere fuori dal mondo. Ed è in questa stessa ottica irreale, che non ho condiviso i percorsi itineranti del centro storico che veicolano, nella promozione della Perdonanza, una città che non esiste più dal 6 aprile 2009. Itinerari suggestivi dei quarti storici e delle chiese, dal Castello cinquecentesco a Collemaggio, ed ancora la via dei monasteri sempre attraverso i quarti, con le piazze delle antiche fiere ed i palazzi signorili del centro, curati dall’associazione di promozione sociale Panta Rei, che tuttavia mostrano una vita che non esiste più. E’ una scelta precisa per cui, spiegano nel sito istituzionale, non essendo percorribili a causa dei danni del sisma, si è voluto lasciarli per far conoscere al pubblico le bellezze della città, con l’augurio che possano essere al più presto nuovamente visibili nel loro splendore. Non è questa la realtà, credo che per tornare a vivere, da vivi, bisogna mostrare e vivere la città vera nelle sue ferite, nell’abbandono dello Stato, nella lentezza cronica della ricostruzione per far vedere a chiunque lo voglia, che il patrimonio aquilano è ancora tutto da rifare e sono passati oltre sei anni. Perché fingere.