Proprio non lo trovo il filo di questa ricostruzione. Partiamo dalla cittadella all’ex ospedale psichiatrico di Collemaggio da finanziare con 10milioni di euro del Masterplan per il sud, non c’è un filo che conduca al cuore antico della città. La cinta muraria vede il recupero del centro medievale del capoluogo esattamente com’era, com’è sempre stato, neanche le palazzine multipiano degli anni settanta sono state tolte, c’era lo studio del Cnr sugli edifici incongrui commissionato dall’Usra di Aielli, ma l’assessore alla ricostruzione Di Stefano ha voluto farne a meno. Quindi il centro sarà com’era e distante, resta la cittadella dell’ex ospedale. Percorrendo via Strinella e a salire verso Porta Leoni, c’è l’idea di recupero dell’area studiata dall’Università di Firenze, per 6milioni e mezzo di euro di lavori su un’area di 5.600 mq. collocata tra le mura urbiche, la Porta ed il complesso di San Bernardino, con le palazzine Ater e la vecchia autorimessa. Tutto da demolire, percorsi pedonali, attività commerciali al piano terra della rimessa e parcheggi sotterranei, la riqualificazione Ater dovrebbe prevedere un arretramento delle palazzine così da valorizzare la fruibilità delle mura, ma si pianificano indici edificatori in più, tutti da capire. Ancora il centro storico con le stesse brutture edilizie, per raggiungere la parte opposta su via XX Settembre, dove s’intersecherebbero tre progetti di riqualificazione talmente indipendenti l’uno dall’altro, che è impossibile trovare il filo anche tra loro. Dopo il misterioso abbattimento della vecchia sede Anas, non era affatto pericolante, si prevedono demolizioni e diradamenti abitativi nei quali il concetto di riqualificazione consiste solo in percorsi pedonali, verde e panchine. Quindi il recupero troppo tardivo di Porta Barete e l’allarme peggiore per cui lì, a Villa Gioia, porterebbero molte funzioni direzionali prima in centro storico. La Provincia dell’Aquila nella vecchia scuola di proprietà da abbattere, porterebbe infatti uffici. Un percorso confuso e frammentato, fatto di cementi e solitudini dove manca l’idea di bella città che verrà.