L’Istituto Nazionale di Urbanistica, a 14 anni dal sisma del 6 aprile 2009, ricostruisce gli eventi con l’allora vice presidente INU, Pierluigi Properzi. Fu stilato subito un ‘Manifesto degli urbanisti’ e un ciclo di otto workshop, a cui parteciparono circa 150 esponenti della cultura nazionale, quindi un forum i cui risultati sono in un Libro Bianco nel quale sono affrontati i temi della ricostruzione. L’INU ha in seguito stipulato con il Comune dell’Aquila un accordo per dare vita all’Urban Center. Successivamente è stato costituito con Ancsa un laboratorio, Lauraq, che ha seguito fino ad oggi i lavori della ricostruzione con una serie di atelier progettuali, nel 2011 e nel 2014, ai quali hanno partecipato oltre 80 ricercatori nazionali e internazionali.
L’emergenza poneva e pone l’esigenza di un coordinamento sostanziale e la disponibilità ad aprirsi alle altre discipline tecniche, rileva oggi l’architetto Properzi. Non fu possibile trovare un raccordo con la politica, quando reclamai con l’allora capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, il ruolo del Piano nel processo di Ricostruzione, mi rispose che non si poteva perdere tempo con l’accademia.
Ci sono state due fasi. Nella prima Gaetano Fontana è stato il direttore della Struttura Tecnica di Missione. Aprì il processo a tutte le componenti, anche accademiche e culturali. Quel tentativo trovò un limite sostanziale nell’urbanistica, che non era pronta a sperimentare strumenti adatti all’emergenza. Il Piano di Ricostruzione, cardine della stagione Fontana, è stato un ibrido tra la pianificazione ordinaria e lo strumento ‘non prescrittivo’ ma solo strategico: le amministrazioni comunali non erano preparate a una produzione di carattere strategico e i Piani di Ricostruzione sono quindi serviti a poco. La fase successiva, con Fabrizio Barca, ministro della Coesione territoriale, è stata ulteriormente riduttiva, i Piani di Ricostruzione sono stati utilizzati solo per ricavare gli importi e programmare le spese.
Le amministrazioni non sono riuscite a integrarsi con le Strutture tecniche di Missione e con il lavoro commissariale rivendicando un’autonomia che non ha giovato al percorso e questo è accaduto in particolar modo con il Comune dell’Aquila, aggiunge Properzi.
Oggi la situazione è evoluta, ci sono stati nel frattempo altri terremoti, in particolare quello del Centro Italia che ha ripreso strumenti affinati nel sisma aquilano adattandoli in una prospettiva più efficace. Il sistema della governance qui ha funzionato di più anche per la capacità del commissario Legnini. L’INU è stato chiamato a fornire un’attività di supporto alla Struttura tecnica di Missione e, partendo dall’esperienza del Lauraq, ha coinvolto le quattro sezioni regionali direttamente interessate nella elaborazione di Indirizzi e di Linee Guida per le attività delle Amministrazioni locali.
E tornando allo stato dell’arte della ricostruzione post sisma 2009, ci troviamo di fronte a una ricostruzione privata al 90 per cento mentre quella pubblica è al 37. Le amministrazioni sono state incapaci di utilizzare gli strumenti dell’appalto pubblico in condizioni di emergenza. Sarebbe stata necessaria una Centrale unica di appalto, ma non andava bene ai Comuni che si sarebbero sentiti espropriati. Non considerare la parte pubblica trainante, a partire dal centro storico, ha prodotto effetti negativi soprattutto all’Aquila dove oggi manca l’armatura urbana, con conseguenze molto negative sulla ripresa sociale. Questo rende molto difficile non solo la Ricostruzione, vista l’assenza di indirizzi per gli operatori che non sono in grado di costruire scenari ai quali riferire le proprie iniziative. Non dobbiamo scambiare una situazione economica oggi di buon livello all’Aquila con la ripresa economica. La prima deriva dal fatto che sono arrivati 20mld che almeno in parte hanno interessato l’economia territoriale ma la verità è che non c’è stata una politica di orientamento delle risorse nel sistema locale. Si è costituita nel post terremoto una classe dirigente caratterizzata da operatori che hanno cavalcato l’economia della ricostruzione senza poter reimpiegare gli utili sul territorio e dai decisori che hanno mostrato maggior disponibilità verso la richiesta di una riconoscibilità da parte di questi soggetti emergenti, conclude l’architetto.