03 Ott 14

I Mandarini, classe intellettuale estinta

Il romanzo I Mandarini, di Simone de Beauvoir racconta degli intellettuali francesi del secondo dopoguerra e del loro impegno nella ricostruzione socio politica, in una Parigi stracolma di artisti, filosofi, scrittori, giornalisti e pittori. Quell’impegno da trasferire nell’azione, per fare ognuno la propria parte in un processo difficile, che richiamò al dovere civico i pensatori francesi degli anni cinquanta. Erano anni diversissimi da quelli odierni, dove intellettuali locali, nazionali e mondiali non si sono invece appassionati alla ricostruzione socio politica, ed economica del post sisma del 2009. C’è ancora una classe del genere? Simone de Beauvoir è la prima scrittrice che ho letto, e con i suoi libri, anzi, ancor prima dei suoi, quelli del compagno di una vita, Jean Paul Sartre, insieme per decenni, felici, ma senza mai vivere nella stessa abitazione, per loro, la libertà delle rispettive esistenze veniva prima di tutto, ed il fatto di averlo compreso vicendevolmente gli ha consentito un’esistenza piena. Sartre, si allontana dalle filosofie esistenziali nel post guerra per l’impegno, l’azione, l’attività politica, quelle che salvano l’uomo dai cattivi pensieri, e Simone con lui, a ricercare la piena indipendenza e quella della donna che fa politica, insegna, scrive e lascia ispirare il proprio compagno. Impegnati politicamente, presero le distanze dal comunismo dopo l’invasione dell’Ungheria non era quello, il socialismo in cui credevano, e nella ricerca continua di un impegno attivo e concreto che rifuggisse ogni apparato ed ogni costrizione, trascorsero le loro esistenze, lasciando un’importante eredità ai posteri. Oggi, sarebbe difficile incontrare in un bistrot Picasso che si confronta con Sartre o con Simone, Genet e Camus, l’impegno socio politico concreto non esiste più, figuriamoci l’indipendenza fuori dalla politica e dai partiti. Ormai storicamente superati. Filosofi e scrittori impegnati me ne vengono in mente pochi e rari, sono passati in questi cinque anni per L’Aquila, per trovare l’ispirazione nella distruzione, e se ne sono andati così come sono venuti. Mentre in loco, solo tanti individualismi incapaci di qualsiasi forma di passione unitaria per la città.