08 Mar 21

Convenzione Istanbul, strada in salita

Secondo un’indagine Istat pubblicata il 25 novembre, nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, tra marzo e ottobre 2020, il numero delle chiamate e delle richieste di aiuto via chat e al numero verde 1522 è aumentato in maniera considerevole durante i lockdown. Con le restrizioni è diventato più difficile per le vittime di violenza e abusi chiedere aiuto, mentre l’uso di internet ha aumentato la violenza di genere online.

Una donna su 3, nell’Unione europea, ha sperimento violenza fisica e/o sessuale dall’età di 15 anni.
Il 35% delle donne ha avuto esperienza di comportamenti controllanti da parte dei loro attuali o precedenti partner.
Circa 50 donne vengono uccise per violenza domestica ogni settimana. Almeno il 74% dei cittadini europei crede che la violenza contro le donne sia un fenomeno diffuso nel proprio Stato, rileva un’indagine di Eurobarometro.

La Convenzione di Istanbul firmata nel 2011, da 32 Paesi, è il primo strumento internazionale legalmente vincolante che stabilisce in maniera compiuta le misure per prevenire la violenza, sostenere le vittime e punire i colpevoli ed indica quali atti devono essere perseguiti penalmente dagli Stati che la ratificano.

I reati comprendono la violenza psicologica, lo stalking, la violenza fisica, la violenza sessuale e lo stupro, tutti gli atti non consensuali di natura sessuale con una persona, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata, i delitti d’onore e le molestie sessuali.

Tuttavia alcuni Paesi la stanno mettendo in discussione per il fatto che introdurrebbe la tolleranza di un terzo genere, ma non vi è alcuna citazione al transgender all’interno della Convenzione, e perché sollecita la diffusione di materiale didattico su ruoli di genere non stereotipati, il che, per altri Paesi conservatori, sarebbe un’imposizione di stili di vita troppo poco tradizionali. 

Le donne polacche sono scese in piazza la scorsa estate contro la volontà governativa di uscire dalla Convenzione, in particolar modo per i concetti ideologici oltre il sesso esclusivamente biologico. Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lituania, Lettonia e Slovacchia hanno firmato la Convenzione ma non l’hanno ancora ratificata e la strada resta tutta in salita.