23 Mag 21

Borghi spopolati, mancano i servizi…

Sono andata a vivere in un borgo, per davvero. Sono felicissima della mia scelta, ma non è facile come sembra. Non ho comprato casa a 1 euro come molti giornali sbandierano. Elena Stella, consulente di turismo culturale e docente di Turismo Culturale alla RCS Academy, racconta la sua esperienza su Linkedin poi ripresa da alcuni organi di informazione nazionale.

E la domanda è: ma i borghi sono veramente pronti ad accogliere nuovi residenti? Bastano aria buona, natura e tranquillità per soddisfarli? Elena, che sperimenta una nuova vita sulle colline Unesco dell’alto trevigiano, non ne è convinta, c’è ancora troppo abbandono, per ripartire serve un serio incentivo alla residenzialità da parte delle amministrazioni pubbliche, e un altrettanto serio piano di sviluppo che permetta il recupero degli spazi in disuso per l’avvio di nuove attività micro imprenditoriali.

L’idea di vivere in un borgo è romantica ed alletta le metropoli nel post pandemia, poi però arriva la realtà ed il quotidiano e il risveglio è duro. Turisticamente parlando, spiega Elena, servono segnaletica, formazione e cultura dell’accoglienza, ma soprattutto una visione che parta dalla riflessione sui valori del proprio territorio e coinvolga la comunità locale. Siamo solo all’inizio. Per rigenerare i borghi bisogna partire dai servizi per i locali. Perché il turista cerca il contatto con l’abitante, con il ‘local’ quindi è necessario far sì che trovi luoghi di aggregazione, in cui scambiare quattro chiacchiere con qualcuno. Non basta che il luogo sia ‘bello’, è necessario anche che sia anche funzionale. Nel borgo che ha scelto Elena non c’è un panificio e bisogna prendere un bus per raggiungere un campetto di calcio.

Se si creassero più servizi anche i turisti sarebbero incentivati a fermarsi, ma deve cambiare anche la mentalità, un grande limite che noi conosciamo perfettamente. C’è l’idea che tutto nel paesello debba rimanere immutato nel corso dei decenni, invece a volte alcuni cambiamenti possono giovare. Se sono uno smart worker appena trasferitomi nel borgo e non trovo la connessione internet né il panificio vicino casa, non sono incentivato a rimanere. Per questo tipo di residente bisogna pensare servizi accattivanti, come spazi di coworking e simili.

Opportunità di questo tipo vengono offerte da Borgo Office, una piattaforma che unisce smart working e aziende agricole dei piccoli centri, disposte a ospitare lavoratori in remoto. E poi però? 

In Italia i piccoli centri sotto i 5mila abitanti sono 5mila 498, quasi il 70% del totale e vi risiede solo il 16% degli italiani, pari a 9,8 milioni di abitanti, pur rappresentando il 54% dell’intera superficie nazionale e in alcune Regioni fino al 70% del territorio. Ma affinché un borgo sia accogliente e non respinga di fatto chi vuole stabilirsi e mettere radici, è necessario che si generi comunità, cioè che le aree interne facciano rete tra loro e che sviluppino insieme servizi utili per gli abitanti, vecchi e nuovi, rileva HuffPost. Fondazione Italia Patria della Bellezza, ad esempio, ha dato il patrocinio ad un progetto che prevede la ristrutturazione del castello di Padernello, in provincia di Brescia, e un percorso di recupero dell’intero borgo con un hub di servizi per il Comune e i territori vicini, ma il senso di socialità dovrebbe essere più che radicato dentro il cuore di queste nostre terre interne. Senza comunità e senza servizi, i borghi non potranno mai raggiungere né riqualificazione né ripopolamento, e non basta certo lanciare la vendita di una casa a 1 euro o l’aria buona, per colmare l’assenza del resto.