17 Dic 21

Beata Antonia Fontesecco e via Sallustio

Vladimiro Placidi è persona di cultura e storico esperto, ciò che chiarisce nella nota pubblicata sulla Beata Antonia è come al solito interessante, perché spiega, a chi non conosce la storia dell’architettura, la genesi degl’insediamenti monastici conventuali e la loro forma.
Tuttavia il disegno della Città è altro, infatti, come correttamente rilevato, lo sventramento conseguente alla Deliberazione programmatica del 1929, a firma di Adelchi Serena, per la realizzazione della Via Italo Balbo, produsse la “cesura” della corte conventuale, come di molti altri edifici a monte (Santa Caterina) ed a valle e, solo molto dopo fu dato seguito alla costruzione del fronte sud della via alla quale sarebbe poi stata data lintitolazione a Gaio Sallustio Crispo.

Il solo edificio d’ingresso dalla Nazionale (via XX Settembre) alla Via Fontesecco fu costruito dall’Istituto Autonomo Fascista delle Case Popolari negli anni ’30, che è arrivato a noi sotto il ponte di Belvedere.

Luca Carosi

Premesso quanto finora, non è corretto, secondo il mio modestissimo parere, pensare che l’unico atteggiamento corretto nei confronti di un elemento storico, ma mutilato, sia l’antica sua restituzione formale. La città dell’Aquila si è infatti molto trasformata, soprattutto a causa dei sismi distruttivi patiti, ma anche di interventi più o meno discutibili eseguiti, e la cosa bella è che in molti casi, non in questo, dalla sua ricostruzione sono nati esempi palaziali di grande pregio, come Palazzo Centi dopo il sisma del 1703.

Orbene, pur considerando che, ovviamente, la corte conventuale della Beata Antonia non è mai stata storicamente aperta, trovo molto interessante ragionare su una riqualificazione complessiva dell’asse Fontesecco/Sallustio, in una chiave contemporanea che annette le forme antiche pur residuali al nuovo disegno della Città in corso di realizzazione post 2009.

Così immagino, ad esempio che anche gli oramai storicizzati tracciati delle attuali strade, che in alcuni casi, sono più alti rispetto all’impianto angioino di 3 o 4 metri, possano essere motivo di racconto della trasformazione urbana e della sua antica veste, attraverso la reinvenzione di luoghi che oggi non esistono, ma che le future generazioni potranno vivere, traguardando, percorrendo e riflettendo sugli spazi contemporanei in grado di raccogliere e raccontare la forma della Città nuova di settecento anni fa e di domani.

 

*di Luca Carosi