L’Ama spa, la partecipata che gestisce il trasporto pubblico nel Comune dell’Aquila, rischia da oggi l’osso del collo e saranno i suoi stessi lavoratori a schiantarla, perché almeno un terzo di loro ha avuto ragione da un giudice del lavoro, che gli ha riconosciuto 309 euro in busta paga, oltre lo stipendio, fino al 2025, compresi gli arretrati dallo scorso febbraio.
309 euro in busta paga in più al mese, che per due quadri dirigenziali fanno 700 euro in più riconosciuti così, dalla sera alla mattina, da un Consiglio d’amministrazione che fu. Diconsi settecento euri che aggiunti allo stipendio dovuto fanno intorno ai 3mila euro al mese.
Quando li avete visti voi tremila euro al mese?
Dunque l’Ama spa da domani, anzi da oggi, ricomincerà a pagare. 309 euro in più, lo hanno chiamato patrimonio inviolabile della persona, frutto di un accordo del 1999, per stipendi ordinari che raggiungeranno tra i 1.700 e i 1.900 euro al mese e sempre i 3mila euro al mese per i quadri dirigenziali.
Ma l’azienda è decotta è al capolinea e non reggerà il colpo. A breve non riuscirà a pagare gli stipendi e si dovrà affrontare il discorso privatizzazione, con esuberi e licenziamenti necessari a reggere i conti stratosferici che non può più permettersi. La città è stanca e questa volta non sborserà un centesimo, perché la città non può sempre rinunciare al verde pubblico, a strade decenti, a un’illuminazione che va, per saldare la lista della spesa, con i liquidi girati aggratis dal voto favorevole del Consiglio comunale.
L’accordo è del 1999, s’inventarono che tra il lavoro usurante e la rinuncia agli straordinari, avrebbero garantito agli assunti fino ad allora, 309 euro in più oltre lo stipendio fino al 2025. Il che significa che tutti quelli assunti anche il giorno dopo l’accordo, non ne avrebbero beneficiato.
Fatto sta che ciuccia oggi ciuccia domani i conti non hanno retto più, arriviamo quindi alle ultime leggi per cui con tre bilanci in rosso, le spa pubbliche devono tagliare i costi, rivedere la contrattazione aggiuntiva e ristrutturare l’azienda, altrimenti tutti a casa. Ci hanno provato i sindacati da febbraio, si è speso anche il sindaco Biondi, hanno fatto tavoli su tavoli, non c’era più nulla da ciucciare, solo la metà dei fondi da riconoscere ai lavoratori, cioè circa mezzo milione di euro e l’obiettivo di salvare il lavoro e un’azienda pubblica. Hanno quindi pensato di tagliare a tutti una piccola parte dello stipendio, riconoscendo comunque quel di più a tutti, quantificato sempre in 309 euro ai più vecchi, in 209 euro a tutti gli assunti dopo il 1999, e in 500 euro in più ai quadri dirigenziali, anziché 700. Sempre oltre lo stipendio.
Un accordo che avrebbero dovuto firmare tutti, ma un terzo dei dipendenti, una quarantina su 125, ha fatto ricorso al giudice del lavoro e lo ha vinto mandando all’aria la ristrutturazione. Anche il quadro dirigenziale che aveva seguito la trattativa alla fine s’è tirata indietro, ha quindi voluto i 700 euro in più, e con lei il consorte che avrà pure garantito il suo bello stipendio da autista, in un’azienda pubblica che colerà a picco.
Non so se ci saranno i margini per tentare una nuova contrattazione. Sicuramente è a rischio il posto di lavoro di molti dipendenti, certamente l’azienda ricorrerà al privato e non è più tempo di ciucciare nulla perché la vacca grassa è morta di stenti. La città prende atto di aver garantito i sacrosanti diritti individuali a lavoratori che ormai non guidano nemmeno più il bus, ma la liquidazione della società, è praticamente dietro l’angolo.