05 Ott 16

Accord Phoenix, monnezza e monitor

Ad aprile oltre 150 curricula, l’apertura prevista entro sei mesi, priorità ai lavoratori ex Finmek ma i sindacati già la vedono nera e con una nota congiunta chiedono un incontro alle parti interessate per capire cosa accade, parlando di soggetti che poco hanno a che fare con l’imprenditoria. Oggi, scrivono in una nota, su 24 persone assunte, solo 9 sono impegnate direttamente in attività produttive, gli altri vagano per lo stabilimento impartendo ordini spesso contraddittori. Mentre l’azienda gli ha già detto che sulle ipotetiche 128 assunzioni, per professionalità particolari avrebbe dovuto pescare fuori dal bacino individuato. Oggi sono stati assunti personaggi non facenti parte dell’ex polo elettronico che non spiccano per qualifiche particolari, mentre molte decine di lavoratori dell’ex polo elettronico sono ormai senza sostegno al reddito, nell’azienda circolano una miriade di consulenti, vengono elargiti stipendi da “favola” ai non operativi e vengono assunti lavoratori che già avevano un lavoro a tempo indeterminato con professionalità che possono essere individuate all’interno del bacino dell’ex polo elettronico. Nell’ultima riunione è stata paradossale la comunicazione della necessità di assumere esperti “ragnisti” fuori dal bacino individuato. Questa comunicazione ci lascia perplessi visto che l’azienda potrebbe programmare corsi di formazione. In questa confusione, arrivano pochi camion con monitor “antidiluviani” misti a “mondezza” che rendono sempre più difficoltoso il lavoro dei nove unici lavoratori. Sarebbe opportuno che l’azienda in modo trasparente comunicasse la provenienza di questi materiali. Abbiamo l’impressione che si stia prestando più attenzione a spendere i soldi che a fare impresa. In realtà, quando tali pericoli furono paventati da qualche giornalista e qualche politico, sindacati e lavoratori ex Finmek quasi vennero alle mani, in un burrascoso incontro con chi voleva aprirgli gli occhi sui meccanismi nient’affatto chiari con cui Accord Phoenix voleva insediarsi, per smaltire e recuperare componenti elettroniche. Con un contributo pubblico di 10,7milioni di euro ed un capitale sociale di poche migliaia di euro. Dubitare oggi anche della provenienza dei materiali rende la vicenda, se possibile, ancora più cupa.