Parlavo di Piero Orlandi e del saggio Architetture, arte, città: un rapporto da ritrovare, in cui spiega come la legge del’49 del 2%, la percentuale da destinare all’arte nella ricostruzione pubblica del dopoguerra non abbia prodotto opere di grande qualità, con architetture che hanno privilegiato il cemento e per di più applicando il metodo dell’inserimento. Dice Orlandi. Cioé inserire un oggetto artistico all’interno o negli spazi circostanti di un edificio già costruito. Dopo il progetto architettonico, se non addirittura dopo la realizzazione, l’artista è chiamato ad abbellire l’opera, se non bastano le somme rimaste a disposizione si compra qualche quadro da appendere nelle stanze più importanti. E’ un modo di procedere destinato a lasciare segni di poco prestigio. E in realtà se ci guardiamo intorno non vediamo un granché nell’intero Paese, eppure per Orlandi qualcosa si è mosso, come a Barcellona negli anni ottanta, con l’urbanistica affidata all’architetto Oriol Bohigas, per il quale riqualificare lo spazio urbano come spazio pubblico, ha significato coinvolgere la gente ed interagire in centro come nelle periferie, ovunque, riqualificando spazi vuoti ed abbandonati dove ingegneri ed architetti hanno ragionato con scultori e pittori. Peraltro l’arrivo delle archistar non avrebbe compromesso l’emergere dei giovani talenti. In Italia una serie di norme ha sostenuto la riqualificazione delle città a partire dalle aree industriali dismesse, come l’ex Manifattura Tabacchi a Bologna, dentro il centro storico, l’Eridania Barilla subito fuori le mura di cinta a Parma, e l’ex zuccherificio a Cesena. In ognuno degli interventi è stata imposta la presenza di edifici a destinazione culturale e direzionale, oltre ad un elevato numero di alloggi, così da esorcizzare le ghettizzazioni dei quartieri dormitorio nati anni prima. Il pubblico ha privilegiato l’equilibrio tra spazi destinati a servizi, alla cultura e alla residenza, così che i quartieri rigenerati fossero di richiamo e colloquiassero con la città. Non posso non pensare alla mia città, e a come siamo lontani anni luce da tali ragionamenti in centro, come nelle periferie e nel Progetto case.