Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, deve fare i conti con la crescita esponenziale del turismo e con oltre il 140% di presenze in più, che deve imparare a gestire. Probabilmente fa i conti con il fatto che non ha ancora esperienza e strumenti necessari ad affrontare una cosa così grande. Pensa a percorsi condivisi con le altre città finaliste e così faranno una mostra con Lecce, per una rilettura del Rinascimento al sud, lavoreranno sulle performing arts con Ravenna, provando a confrontarsi con Perugia, sul ruolo dei giovani stranieri in un sistema universitario, con Siena per la cura delle cose e con Cagliari sull’artigianato anche digitale. Vuole fare sistema, un sistema sud con Crotone e Napoli, a leggere un approfondimento di Paolo Verri, direttore della Fondazione Matera-Basilicata 2019, e Rossella Tarantino, manager della Fondazione. Tiene molto anche al lavoro del Cidac, Centro italiano per le città d’arte, che vorrebbe far colloquiare tutti i dossier delle candidature, con una legge dedicata per tutte le opere pubbliche proposte, in modo da generare una rete nazionale collettiva di cultura e turismo. Non mancheranno scambi con le Capitali Italiane della Cultura, Mantova per il 2016 e Pistoia per il 2017, e relazioni del territorio materano con Modena e la collina modenese, ad esempio, per ragionare sullo spopolamento e ripopolamento dell’Appennino attraverso percorsi turistici, che già vedono la collaborazione tra le città di Irsina in Basilicata e Sassuolo in Emilia Romagna. Matera, che con la candidatura ha attirato un grande interesse in tutt’Europa, si mette in discussione per chiedersi come condividere dati e competenze per comunicare con le altre città e capitali, non tanto nelle singole realtà, ma come gruppo ed insieme di culture con cui interagire, non ultima la bulgara Plodviv, la seconda città capitale 2019, con cui giocare insieme il ruolo dell’accoglienza e dell’inclusione. Matera prova a vincere una sfida dove nulla è scontato, apre per questo allo scambio, alla rete, alla condivisione e alla collaborazione, fattori che all’Aquila, continuano a rimanere estranei.