Buccio di Ranallo, riporta che Lalle Camponeschi, aristocratico aquilano, dopo il terremoto del 1349 chiese agli aquilani di non andare via. Morte e peste si diffusero nel centro medievale, il podestà Camponeschi perse i suoi beni ma si sistemò nelle baracche di fortuna che tirarono su, molti trovarono casa nei conventi. Per arginare l’abbandono della città, ordinò che le brecce aperte nelle mura urbiche fossero chiuse con degli assi di legno, così che la gente non potesse fuggire. La storia racconta di una totale promiscuità, anche delle monache, non sempre costrette ad accoppiarsi con gli sfollati. L’Aquila sarebbe tornata a nuova vita, Camponeschi riuscì a risollevare gli animi, la città, persa tra i cadaveri recuperati dalle macerie, la polvere, la peste e la promiscuità, e sottoposta ai saccheggi dei banditi che varcavano le mura urbiche squarciate, riuscì a farcela. Riprese la lavorazione delle pelli e dei tessuti, le cartiere, la pittura e la scultura e il commercio dello zafferano, gli accoppiamenti facili contribuirono alla rinascita demografica, la città diventò una delle più fiorenti del Regno di Napoli. Qualche secolo dopo, il 2 febbraio 1703, un nuovo devastante terremoto colpì la città. Anche questa volta L’Aquila non fu sgomberata, nella piazza del mercato, cinquanta baracche con commercianti e artigiani furono messe su in una quindicina di giorni, in una di esse trovò sede provvisoria il Comune dove venne eletto il nuovo sindaco, visto che il precedente perse la vita sotto le macerie. Marco Garofalo della Rocca fu nominato vicario della ricostruzione e già a maggio lasciò L’Aquila perché i cittadini avviarono da soli la riqualificazione dei palazzi, delle piazze e delle strade. L’esenzione fiscale restò in vigore per dieci anni ed il centro fu ricostruito integralmente, con la chiesa delle Anime Sante, edificata a futura memoria delle vittime del sisma. Il 6 aprile 2009 cambia la storia della città, perché per la prima volta L’Aquila viene sgomberata, manca un’idea di futuro e quel centro abbandonato, che rinasce a macchia di leopardo, rischia di essere riabitato solo in parte.