Le dichiarazioni del ministro Triglia su La Stampa, e cioè che il Governo non può essere per L’Aquila solo un bancomat, hanno fatto imbestialire l’amministrazione comunale, gli apparati di partito, la senatrice Pezzopane e Lolli. Tutti. Trigilia avrebbe voluto e vorrebbe un confronto sul futuro della città, un aggancio sulla rinascita, sulla pianificazione e su un nuovo Piano regolatore con il quale ripensare gli spazi urbani, alla luce del fatto che dopo il sisma sono state aggiunte le piastre del Progetto Case, i Map e i Musp su suoli agricoli, per quasi 6mila nuovi alloggi, oltre ai Mep, Moduli ecclesiastici provvisori, e le circa tremila casette provvisorie, a seguito delle inagibilità di case ed attività commerciali. Dunque un’urbanistica da ripensare, strategie di ripresa, spazi pubblici da rivedere e comunque far capire a Roma come si vorrà ricostruire, spiegando le ragioni del com’era e dov’era. Basti pensare ai centri storici delle frazioni e del capoluogo, per capire che tante strutture, definite incongrue, cioè inutili da rifare, dovrebbero essere tolte per fare spazi nuovi e ripensare luoghi più vivibili e a misura d’uomo. Insomma Roma non ci sta a pagare solo il conto, senza vedere ancora un risultato e senza avere come obiettivo un’idea di città futura. E non ci sta a dare tutti i soldi subito, per lasciarli inutilizzati chi sa per quanto tempo, in un momento così difficile per il Paese, ma sono ragionamenti che l’amministrazione aquilana non riesce ad accettare, non ragionando più con nessuno ormai, isolatissima nella propria arroganza. Non ha mai pensato di dover fare pianificazioni complesse, perché nei centri storici si andrà col com’era e dov’era, aggiungendo ai margini della città tre o quattro interventi, di riqualificazione pubblico privati, non in sintonia urbanistica con il centro storico, né dialoganti con le periferie già distrutte da tanti abusi, ed ormai consumate, anche nell’agricolo, dai quartieri dell’emergenza nati nel dopo terremoto. Chiusi nelle loro ragioni intoccabili sono sempre entrati in conflitto col supertecnico Fontana del commissario Chiodi, che suggeriva piani di ricostruzione ed una regia assolutamente pubblica, perché l’interesse del privato non avrebbe mai dovuto essere anteposto alle ragioni di una città. La conflittualità continua, nonostante la fine dei commissariamenti.