Nei campi e nelle tendopoli del post sisma all’Aquila, erano vietate riunioni assembramenti e perfino un consumo eccessivo di coca cola e caffè, troppo eccitanti, per una massa così enorme di gente facile da convincere e controllare intanto con l’informazione, che la Protezione civile faceva circolare dopo averla filtrata dalle brutte notizie per mantenere alto il morale e mentre ciò accadeva, fuori decidevano di 19 quartieri nuovi dove furono poi smistate almeno 4.500 famiglie. Gli anziani non si sono mai rassegnati e si lasciano morire, i giovani socializzano nei centri commerciali, la comunità è polverizzata e stanca, e la vita scorre rassegnata col quotidiano sempre più veloce e incomprensibile. Queste case sono oggi votate al degrado, perché alcune fatte male, tutte gestite peggio, poche manutenzioni e abbandono che non potranno mai farne un vero social housing, cioè quel sistema abitativo per cui con fitti bassi, giovani coppie, studenti e pensionati, possono avere il comfort di una bella casa a pochi soldi, le manutenzioni costano troppo, sono costati troppo i lavori e i progetti, neanche affidati ad un network di architetti che ne studiasse l’aggregazione umana. Qualche mese fa Cameron Sinclair, fondatore di Architecture for Humanity, cioè una rete di architetti che studia strutture per aiutare le popolazioni dopo le catastrofi a ritrovare la socialità con alloggi, ospedali, scuole e strutture sportive, ha dichiarato di aver firmato un contratto con Einaudi, per raccontare del suo lavoro all’Italia, per spiegare come non hanno bisogno di uffici e assunzioni per funzionare, perché lavorano in rete e preferiscono investire sul benessere della gente. Sinclair ha notato che in Italia ci sono migliaia di architetti, molti di loro disoccupati perché manca, come nel resto del mondo, la cultura dell’architettura per tutti, una cultura che bisognerebbe cambiare, per diffonderla tra la gente, renderla più accessibile e non solo a quei quattro o cinque straricchi, che possono permettersela. I loro progetti abitativi partono dai 5mila dollari in su per una casa e poi via via a seconda dei luoghi aggregativi da aggiungere: una cultura che lentamente si diffonde, ma che pure L’Aquila non è riuscita a intercettare per troppe ragioni che cominciamo a pagare di brutto.