Nasce a Bologna Museo Spazio Pubblico da un’idea di Luisa Bravo. Lo spazio pubblico è pluralità, coesione, socialità, aggregazione, identità, diritti civili, ma anche potere e controllo, in dinamiche configgenti di cui la politica dovrebbe riappropriarsi per garantire alla comunità qualità, accessibilità, vivibilità e fruibilità.
Quindi un luogo da ripensare, da riprogettare, da modificare anche nel post pandemia, che vede le nostre esistenze radicalmente cambiate, per niente adatte a vivere lo spazio pubblico pandemico, di fatto precluso all’aggregazione e alla socialità, ma anche alle individualità.
Per cui studiarlo, osservarlo, determinarlo e modificarlo diventa un’urgenza civica che a Bologna trova senso in uno spazio innovativo dedicato.
Museo Spazio Pubblico è un progetto di City Space Architecture, associazione culturale senza scopo di lucro, sviluppato congiuntamente con l’azienda Genius Saeculi.
E’ il primo centro di ricerca italiano interamente dedicato alla pratica dello spazio pubblico, fondendo arte, architettura e tecnologia in una nuova disciplina complessa, spiegano. Si tratta di un ambiente aperto destinato a ospitare lezioni, dibattiti, mostre, laboratori, eventi speciali e spettacoli d’arte. Uno spazio per attività di ricerca e per attività educative, impegno comunitario, dialoghi multiculturali e intergenerazionali sullo spazio pubblico in una prospettiva globale.
La medesima sfida che ha posto Hashim Sarkis, architetto libanese, curatore della Biennale di Architettura a Venezia dal titolo How will we live togheter?, per immaginare spazi in cui vivere insieme. Insieme tra esseri umani, come nuovi nuclei familiari, come comunità emergenti che reclamano equità, inclusione ed identità spaziale; oltre i confini politici per immaginare nuove geografie di associazione e infine come pianeta che sta affrontando crisi che esigono un’azione globale affinché tutti noi continuiamo a vivere.
Museo Spazio Pubblico sorge nel sito di un ex supermercato, in via Curiel in zona Stadio, in periferia. C’è ancora molto da fare soprattutto dal punto di vista istituzionale, secondo l’ideatrice, cioè da parte di chi è preposto a gestire lo spazio pubblico, superando la logica, ormai non più efficace, dei laboratori partecipati che in molti casi non producono risultati e soprattutto non si traducono in interventi a forte impatto sociale e territoriale.
Raffaello 500, l’opera sul soffitto di Flavio Favelli (Firenze, 1967), darà un’identità permanente allo spazio. E in un’ottica di totale apertura. La stessa di Sarkis, che ha richiamato gli architetti, custodi del contratto spaziale, alla collaborazione con professionisti e attori, costruttori, ingegneri e artigiani, ma anche politici, giornalisti, esperti in scienze sociali e cittadini comuni. La nostra professione ha il compito di progettare spazi migliori, ha detto, per una vita migliore.