E’ da oggi in vigore in Italia la Convenzione di Istanbul, per la prevenzione e la lotta delle violenze sulle bambine e sulla donna. Mancava un quadro legislativo a livello europeo, ora c’è. Ha firmato anche la Turchia, ma a sentire che un ministro turco ha proposto il divieto per le donne di ridere in pubblico, la dice lunga sul quanto siamo lontani, anche se la reazione non s’è fatta attendere e sulla rete una marea di donne ha risposto al ministro con una sonora risata. Siamo andati avanti, ma ancora troppo poco. Perché la disparità comincia con gli stipendi, diversi tra un uomo ed una donna, tra un manager donna ed un manager uomo, ed ancora troppe poche donne che riescono a fare politica senza quote rosa, troppe poche disposte a votare un’altra donna. C’è tutto un dibattito in corso sulla donna in politica forgiata dal renzismo, per cui non è ancora chiaro se le ministre del premier, siano la riscossa spontanea di genere oppure l’evoluzione genetica di uno stereotipo femminile che vorremmo dimenticato. Troppo ancora da fare e da dire, c’è tutto un mondo che va da una parte, con l’uso della donna in certe pubblicità, per certe carriere e per le strade più brevi per arrivare e per guadagni facili, mentre culturalmente non si va avanti, un’intera società va a rotoli ed anche per questo l’altra metà del mondo che vorrebbe andare dalla parte giusta, incontra ancora troppi ostacoli, invece delle tutele alla violenza. Una donna che subisce violenze o molestie sessuali, non è detto sia creduta dai servizi sociali, dai pronti soccorsi, dalle questure, dalle procure e nei processi civili e penali scaricando di fatto ogni accoglienza e sostegno sui centri antiviolenza, finora basati sul volontariato. La Convenzione di Instanbul obbliga gli Stati a finanziare i centri antiviolenza. L’Aquila aveva avuto a tal scopo la disponibilità di circa tre milioni di euro, persi tra gli interessi della Curia aquilana, che avrebbe favorito una speculazione immobiliare a Pescara, ed un progetto nelle mani di una consigliera di parità della Regione Abruzzo, vicinissima peraltro, all’allora commissario Chiodi. Quelle risorse, dimenticate tra le pieghe di mille litigi, non sono più arrivate.