Via Amiternum, dopo il sisma, è rimasta la stessa brutta strada zeppa di palazzine tirate su tra cooperative ed alloggi popolari, non è migliorata di un mattone.
Qualcuno avrebbe voluto proporre un viale alberato, porzioni di verde per vedersi, giocare, chiacchierare ed aggregarsi ed uno scorrimento meno veloce che di fatto rende questo quartiere identico ai tantissimi altri di Pettino, zona sismicamente pericolosa, per niente bella dal punto di vista edilizio, eppure valutata a peso d’oro nelle compravendite ante sisma.
C’è chi ha pagato davvero il metro quadro a peso d’oro per vivere lì.
Qui le palazzine sono identiche a prima, più colorate e più sicure ma la vita scorre anonima come prima, tra i fantasmi di alcune case popolari, senza lode e senza infamia.
C’è l’edicola storica a metà strada, e verso l’incrocio per piazza d’Armi piccole attività commerciali, ma non si può certo parlare di un quartiere riqualificato.
Un treno perso irrimediabilmente, nonostante i miliardi ingoiati, e nessuna volontà di rendere una porzione di città, più porzioni di città più carine e vivibili.
Mentre la comunità invecchia a vista d’occhio ed avrà bisogno di quartieri oltre che del centro storico.
Di fatto non c’è mai stato tempo in questa ricostruzione. Era già tardi dieci anni fa quando qualsiasi proposta di riqualificazione tornava al mittente perché non c’era più tempo, figuriamoci ora, e in questa confusione paesaggistica che di rispetto del paesaggio non ha nulla, rischiamo una tower. Una tower dei Rotilio di sette piani, insaccata per forza su quei 9mila mq e con una foggia che potrebbe fare a cazzotti con l’architettura del palazzo di vetro, sede della Giunta regionale.
E chi sa quale sarà o sarebbe, vogliamo sperare nel condizionale, il tocco finale del solito sgarbo urbanistico.
Proprio qualche giorno fa con il progetto di luci degli architetti, sognavamo con Giuseppe Cimmino di concorsi internazionali di idee per le nostre piazze e per il Duomo, di urbanismi coraggiosi in una città che potrebbe voler essere perfino europea e all’avanguardia, per attrarre nuovi creativi ed architetti dove tutto dovrebbe diventare possibile, nel confronto e nella proposta, ed invece no, arriva sempre qualcosa che ti riprende per le caviglie e ti ricorda che all’Aquila non funziona così. Tentiamo, parliamo, ci confrontiamo e non vogliamo mollare, ma poi torniamo al disordine urbanistico degli ultimi decenni che proprio non ci lascia. Anzi, ci caratterizza irrimediabilmente.