15 Apr 23

Turchia e Siria, la storia sbriciolata…

I danni sono ingenti e ancora difficili da quantificare, soprattutto in Siria. A due mesi dal terremoto di magnitudo 7.8 che ha causato una nuova grave crisi umanitaria al confine tra Siria e Turchia, provocando più di 50mila vittime accertate in Turchia e 7mila in Siria, e un elevato numero di dispersi e feriti, le dimensioni dell’emergenza non sono ancora del tutto chiare, specie in relazione ai rilevanti danni al patrimonio culturale.


Turchia

Il sisma ha gravemente danneggiato alcune delle testimonianze più antiche della storia urbana della regione. Tra di esse la cittadella di Gaziantep, fortezza di origine ittita svettante sull’altopiano che domina la città dell’Anatolia sud-orientale, dove sono crollati parte delle mura e alcuni bastioni, oltre all’adiacente moschea Sirvani. Ad Antiochia sono stati riportati danni a numerosi edifici storici, tra i quali la moschea ottomana di Habib-i Neccar, la sinagoga, la chiesa greco-ortodossa e il museo archeologico. A Iskenderun il sisma ha danneggiato la chiesa dell’Annunciazione, mentre a Diyarbakır ha provocato il crollo delle mura basaltiche della cittadella fondata sulla riva occidentale del Tigri e di quelle della chiesa di San Giorgio.

Siria

Numerosi siti sono censiti come Patrimonio dell’umanità e dal 2013 inseriti nella lista dei beni in pericolo. L’entità dei danni alle strutture storiche non è stata ancora definita, anche se la valutazione complessiva appare particolarmente preoccupante in quanto il sisma è stato registrato anche a sud, fino ad Hama sull’Oronte e alla fortezza di Saladino nella provincia di Latakia.

La situazione è resa ancora più drammatica dalle condizioni di degrado e abbandono in cui si trova, a dodici anni dall’inizio della devastante guerra civile, il patrimonio architettonico, urbano e archeologico siriano. Il conflitto, ormai lungamente protratto, ha distrutto o reso inagibili edifici, siti e interi insediamenti che testimoniano la storia millenaria che è insieme del paese, del Mediterraneo e del Medioriente. In una nazione ormai allo stremo e ancora senza una prospettiva reale di recupero e in cui sono state distrutte le infrastrutture fisiche e culturali di uno dei paesi più ricchi di storia urbana e architettonica di tutto il Mediterraneo, la prospettiva di ricostruzione appare ancora lontana. 

I danni nelle province del nord

In seguito al sisma, il Directorate-General of Antiquities and Musems (DGAM) ha segnalato ingenti danni nelle province del nord: dalla grande moschea di Ma’arrat al-Nu’man nella zona di Idlib, a Qala’a al-Markab, al castello nei pressi di Baniyas, alla basilica di Qalb Loze nella regione delle “città morte” nel Massiccio calcareo. Non ultimo, il crollo parziale degli archi della chiesa di San Simeone lo stilita (Qal’at Sim’an), un martyrium bizantino composto da una camera centrale ottagonale con quattro bracci basilicale a tre navate, costruito attorno ai resti della colonna su cui si narra che sedette per quarant’anni San Simeone, non lontano da una strada romana che correva da Cyrrhus verso sud, e nei pressi dell’antica città di Telanissos (Deir Sim’an), che crebbe con l’afflusso di pellegrini nel V e VI secolo. Si tratta di un’area, quella tra Aleppo e Idlib, caratterizzata dalla presenza diffusa di resti di oltre 700 siti archeologici romano-bizantini legati alla produzione del vino e dell’olio, tra cui Deir Sim’an, che in questi dodici anni erano già stati reinsediati informalmente da parte di rifugiati interni spostatisi nel nord-ovest rispetto agli epicentri della guerra.

Aleppo

La città (nella foto) non è nuova a questo tipo di eventi: gli storici riportano notizie di terremoti devastanti risalenti al II secolo d.C., al 634, 951, 1139, 1159, 1170, 1343, 1404, 1408, 1822 e al 1844, e la città era in attesa da tempo di un terremoto della stessa entità di quello del 1822. Oggi il sisma è intervenuto però su di un tessuto urbano, benché di pietra, reso estremamente fragile da più di un decennio di abbandono causato dall’embargo e dall’impossibilità di avviare la ricostruzione post bellica.

Qui, oltre al crollo delle mura difensive e dei bastioni della Cittadella, sono state gravemente danneggiate le strutture del suo ingresso monumentale, del mulino ottomano e della Jami al Kabir al suo interno. Molti edifici del sud che erano stati risparmiati dal conflitto sono stati ora danneggiati, tra cui il Khan al Wazir e il Khan al Sabun, o l’hammam Yalbugha al Nasiri che era miracolosamente sopravvissuto alla distruzione delle aree a sud della Cittadella. Sono crollate anche sezioni delle mura occidentali a nord di Bab Antakia, su cui si “poggia” il Tell el-Akabe (il primo insediamento risalente a 5000 anni fa), nei pressi della Moschea al-Qiqan, e l’intera area è a rischio crollo. Non da ultimo, sono stati riportati danni al Museo nazionale e alle strutture di molti edifici residenziali e palazzi del quartiere cristiano di Al-Jdeideh, tra cui Beit Gazaleh e Beit Wakil, e a edifici commerciali e religiosi nell’area di Bab Quinnesrin.

A due mesi dal sisma e a dodici anni dall’inizio della guerra civile, ad Aleppo, e in Siria in generale, la situazione umanitaria e le condizioni del patrimonio sono particolarmente drammatiche. A sette anni dalla fine della ‘battaglia di Aleppo’, l’Unesco ha inviato alcuni esperti dell’Icomos a eseguire una prima valutazione dei danni post-sisma. 

*da Il Giornale dell’Architettura, ‘Passaggio in Siria e Turchia, due mesi dopo il terremoto’, di Giulia Annalinda Neglia