Non sapevo come spiegare bene il mio punto di vista sull’ennesimo giro di polemiche su fatti e fattarelli del nostro centro storico allora ho infilato le scarpe e sono uscito a fare un giro per schiarirmi le idee.
Per mia fortuna davanti Palazzo Camponeschi ho incontrato un gruppo di universitari, aquilani e non, universitari del 2009 e del 2019, che stimolati dal circolo Praxis di via Veneziani, un luogo di socialità, cultura e studio e sede di diverse associazioni cittadine e studentesche, erano usciti per fare un giro nei luoghi della vecchia città universitaria. Avevano già fatto un bel pezzo di strada ma restava forse quella più significativa che porta nel cuore di quello che, nel primo decennio del nuovo millennio, era diventato il quartiere degli studenti.
Da via Camponeschi, storica sede della facoltà di Lettere siamo scesi verso via Sallustio, dove c’era l’ex collegio dei Gesuiti poi residenza gestita dall’Adsu, il cui futuro è ignoto e che, fanno notare i ragazzi, sarebbe un sito ideale per ricostruire una casa dello studente e ai Gesuiti di certo non dispiacerebbe. Ci siamo quindi diretti verso Palazzo Carli scendendo prima giù per il vicolaccio costeggiando il Conservatorio e il celeberrimo Mythos o Samoa.
All’altezza di via Antonelli abbiamo incontrato Giuliana, la mitica locandiera della trattoria Lincosta quando stava a piazza San Pietro. Siamo poi risaliti verso Palazzo Carli e da lì siamo andati verso San Pietro, dove c’era la sede dello storico Dipartimento di Storia e Metodologie comparate dell’Ateneo e dove dovrebbe rientrare l’Ufficio per le relazioni internazionali dell’Ateneo. Infine siamo giunti a piazza San Pietro.
E’ stata raccontata la storia di questa piazza capoquarto e dei suoi dintorni, una storia che merita di essere raccontata.
Quando Giuliana ci aveva incontrato, poco prima, ci aveva abbracciato e ci aveva detto là ero un po’ come una nonna per tutti voi.
Effettivamente è stato così, Giuliana era un po’ la nonna di tutti e il quartiere la nostra casa.
Tutto nacque per una serie di eventi fortuiti. Ad esempio, ricordavamo, una volta dicemmo a Giuliana di mettere un cartello per segnalare agli universitari che si pagava molto poco da Lincosta e ben presto a cena era facile trovare tanti gruppi di studenti. E poi c’era il bar, lo Student, un baretto modesto e umile, che divenne luogo di ritrovo di migliaia di giovani.
Anche lì nacque tutto per caso, l’Udu aveva organizzato un cineforum a Palazzo Camponeschi e consigliato al bar di offrire un piccolo sconto a chi usciva dal film. E così anche il baretto cominciò a riempirsi. E di lì in poi la piazza, ogni giorno di più.
Nacque così la nuova storia di San Pietro, sei, sette formidabili anni che ho avuto il piacere di vivere da residente di San Pietro e da studente della nostra Università, sullo sfondo del boom degli iscritti all’Università dell’Aquila. Ma era una storia nuova, appunto, nuova perché quando arrivai io, qualche anno prima, San Pietro era un quartiere in crisi, gli abitanti erano pochi, tanti commerci avevano chiuso e, infine, i lavori per la metro fantasma avevano involontariamente trasformato il quartiere in una grande e desolata isola pedonale.
Sono un pò le cose di cui ci si lamenta oggi lungo il Corso.
Ma a San Pietro, proprio quando tutto sembrava perso, il boom degli iscritti, la grande disponibilità di alloggi e la voglia dei cittadini, anche temporanei, di appropriarsi di un luogo deserto invertirono la rotta. Dopo qualche anno eravamo circondati da studenti, la mattina, il pomeriggio, la sera. A un bar ne seguì un altro, e poi aprì un circolo, una pizzeria, quindi un teatro, quindi un negozio e così via.
Il quartiere rinasceva, e rinasceva perché serviva di nuovo a qualcosa e a qualcuno. Non mancavano i problemi, all’epoca cavalcati in malo modo da alcuni presunti pasdaran del decoro pubblico, ma dagli studenti stessi venivano anche le proposte per superarli.
Ricordo a tal proposito che scrivemmo un progetto, San Pietro Spazi Plurali si chiamava, con il quale si voleva mettere a sistema il rinnovato mondo che si era venuto a creare in questo posto, offrendo servizi di vicinato su base solidale tra aquilani e non. Dopotutto era una cosa che già accadeva spontaneamente. A San Pietro infatti, bando alle ciance di qualche brontolone, si viveva con le porte aperte e le chiavi inserite nella serratura, a San Pietro abbiamo visto aquilani e studenti condividere la città, chi lasciava i bambini alle ragazze, chi riaggiustava qualcosa agli studenti o portava qualcosa da mangiare o si confrontava sui problemi della famiglia o dello studio. A un certo punto si cominciò addirittura a mangiare per strada, scendendo tavoli e sedie dalle case. San Pietro funzionava, era un luogo bellissimo e positivo per questa città, un luogo che abbiamo amato, nel quale ci siamo identificati in tanti, in migliaia e migliaia, perché San Pietro non era un museo o una location o un centro commerciale naturale, era un posto reale che, dopo anni difficili, aveva ritrovato una sua strada, un’anima e faremo di tutto, non appena il tappo di palazzo Carli sarà saltato, per dargliene una ancora nuova, magari studentesca magari no. San Pietro rinasceva, senza dehor, senza agevolazioni, senza zone franche, fondi perduti, parcheggi multipiano e altre sciocchezze, ma solo perché aveva intercettato una funzione. Cosa c’entra tutto questo con le polemiche sul centro? Beh molto, perché in questa città, ogni giorno più bella, manca proprio quello, un’anima, uno scopo. Prima di impegnare mezza città a discutere di mettere al bando internet perché la gente compra online sarebbe meglio tirar fuori le idee.
*di Alessio Ludovici