04 Set 20

Rigenerazione urbana, un iter mozzato

L’Europa ha spinto moltissimo negli ultimi vent’anni sulla rigenerazione urbana. Basti citare Marsiglia, Capitale Europea della Cultura 2013, che nel 2002 ha adottato un vero e proprio piano nazionale di sostegno alle città, il Plan national de reonavation urbaine, Pnru, con procedure veloci e la partecipazione, anche finanziaria, dello Stato. In tutto lo Stato ha finanziato 17miliardi di euro con una valenza fortissima di tipo ambientale, sociale e abitativa, coinvolgendo anche capitali privati.

Gli investimenti sono stati pari a 60miliardi. È il cosiddetto modello Marsiglia, scrive IlSole24ore, rilanciato in Italia da Ance, con numerose proposte che finora non hanno mai avuto seguito, ma che potrebbero raggiungere i 10mld di investimento, anche attraverso il Recovery Plan, cioè con una specie di prestito europeo a fondo perduto per la ripresa post covid.

Pare però che il voto del Senato, con l’emendamento 10.3 al Decreto Semplificazioni, abbia affossato queste idee, vincolando tout court i centri storici con tutte le brutture edilizie degli ultimi cinquant’anni, impedendo demolizioni/ricostruzioni e riqualificazioni, in chiave energetica, anche nelle più importanti città italiane perché sarà tutto un vincolo, anche gli sfregi urbanistici.

Si parla infatti di tutela, non solo di beni da salvaguardare, ma di zone assimilabili, di nuclei storici consolidati, di ambiti di particolare pregio storico e architettonico. Praticamente intere zone omogenee che nella capitale superano perfino il raccordo anulare, e raggiungono Ostia, per capirsi. 

IlSole24ore sostiene, a ragione, che il patrimonio pubblico/privato in Italia è degradato, ma la sostituzione edilizia resta un tabù, in questo modo si toglie spazio a progetti di rigenerazione radicale e a innesti di architettura di qualità anche contemporanea dove resta un gap profondo da recuperare. Insomma anche a San Giovanni, a Roma, non è detto sia tutto da salvare, sottolinea il quotidiano, ma sono verità difficili da assimilare.

E all’Aquila lo sappiamo bene, col com’era e dov’era a prescindere, abbiamo ricostruito le brutture e le peggiori zozzerie edilizie, esattamente com’erano e dov’erano perché il Piano regolatore, del 1975, non poteva essere modificato, nonostante un terremoto devastante come quello del 6 aprile 2009. Meglio le varianti urbanistiche e con le varianti continuiamo ad andare avanti, demolendo a occhio, senza avere un piano.

All’Aquila ne sappiamo parecchio, indietro non possiamo tornare, ed il sistema Paese pare adagiato sulla stessa brutta piega.