Mi piacerebbe per esempio capire di più di noi aquilani.
Ci sono mai stati gli aquilani?
Da noi a noi.
Senza far parlare per noi fiction, mostre studiate ad effetto per stupire, più che per condividere, percorsi, immagini, storie/non storie, di noi come comunità che comunità non siamo mai stati, di quei bei noi che sto sentendo in questi giorni, a ricordare il 6 aprile 2009, le prime ore, persone che erano in trincea e che la notte hanno ancora in mente i tanti morti, il Pronto Soccorso, i bambini strappati alla vita e che si commuovono e che non dormono in queste ore e chi sa che non dipenda proprio da quelle ore all’alba di dieci anni fa.
Di noi che non ne deve parlare un film, un articolo, più articoli, diecimila articoli, male, bene, malissimo, benissimo, chi ne sa di più di come andò, chi ne sa di meno, chi pubblica un libro, chi due, chi ormai è scrittore, chi firma autografi e chi s’indigna per la tristezza che ricorre e non guarda invece alla tanta bellezza, tra le tante ziete che so’ volate in questi anni.
Quel noi che non trovo.
Tantissimi io a raccontarsela ognuno come vuole, a farla raccontare ai big di questi anni, tra una ricostruzione pubblica al palo, quella privata a buon punto, frazioni abbandonate e borghi desertificati.
Perché ormai siamo ridotti a questa umanità insaccata in quattro o cinque compartimenti stagni.
Una comunità che perse quel sentire solidale delle primissime ore, già qualche settimana dopo nei campi, a discutere col sangue ai denti, sul perché quel tizio aveva preso così tanto dentifricio e tante colombe pasquali mentre quell’altro s’era prese tutte quelle coperte e la casa gli era rimasta pure in piedi.
Quel sentire delle primissime ore disperso definitivamente tra i metri cubi da rifare, gli arredi da ricomprare, i traslochi, il cas ed i depositi da incassare.
Ci raccontano in tanti, ci studiano, ci interpretano, ci sezionano, ci rispettano, fanno servizi, dossier, previsioni per il futuro, noi, sappiamo che la ricostruzione privata è a buon punto, quella pubblica al palo, i beni culturali non ne parliamo, ma non ci interessa nemmeno la somma, uno più uno più uno uguale tre mettiamo qualche variabile, dei luoghi, del come tornare a farli vivere, di come tornare a vivere noi tutti, perché la vita che facciamo non è affatto vita e non dipende solo da quel cantiere, da quella lentezza, da quel ritardo, dalla mobilità o dai parcheggi perché se la ricostruzione tutta finisse domani, dopodomani continueremo a fare la stessa vita di oggi, come degli zombie a dirci stralunati che è tutto bellissimo aspettando fiduciosi, da chi poi?, il prossimo step.