Dalla riforma Mibact è nata la Direzione Generale Arte e Architettura e Periferie urbane. Periferie urbane dunque, la grande sfida di questo secolo, per il ministro Franceschini, dove vive, lavora e sogna la gran parte della popolazione del Paese, e dove l’arte e la cultura potrebbero fare molto per riqualificarle. Nate con l’espansione urbana degli ultimi 50 anni, mancano di integrazione con il paesaggio urbano, sono isolate, prive di servizi, di verde e di spazi aggregativi e nelle grandi città anche di infrastrutture primarie come le fognature. L’edilizia residenziale pubblica è diventata oggetto di studio, i grandi quartieri del sud come il Sant’Elia di Cagliari, lo Zen 2 di Palermo o il Monterusciello a Pozzuoli, se sono stati il simbolo dell’ideazione progettuale degli architetti che provarono a rendere i palazzoni alveare più vivibili e accattivanti, restano sede di problemi sociali e funzionali. Per il centro Italia qualche esperimento sarebbe riuscito, non senza il fallimento della grande dimensione, come il quartiere popolare di Vigne Nuove a Roma o il Corviale (nella foto). Ed anche nelle esperienze al nord, seppur riqualificate negli spazi pubblici, mancano i servizi di vicinato. E comunque accanto alla vivibilità, su tutti i quartieri restano i problemi di gestione, la manutenzione degli alloggi e la composizione sociale ed integrazione degli assegnatari. Nel discorso delle grandi periferie popolari non s’è mai inserito il Progetto case. Non è mai stato social housing, visto il costo di costruzione di 1.318 euro mq, contro i 1.109 euro standard con punte verso il basso di 600 euro a mq. Ma comunque oltre gli interventi spot dell’assessore Pelini, che ha monopolizzato le assegnazioni senza chiarire mai una strategia politica che desse un’identità o vocazione futura ai 19 nuovi quartieri, l’intervento emergenziale ed invasivo che ha eroso suoli agricoli e non edificabili non è mai entrato a pieno titolo in un dibattito pubblico aperto. Neanche come anomalia, nemmeno perché Franceschini potesse richiamare il compito dell’arte oltre che dei servizi, a salvare le periferie, tutte le periferie aquilane, recuperate solo nei cementi. Sempre chiusi, solo a contare il centesimo in meno che è toccato al vicino affittuario che non è neanche proprietario.