Oggi sono stato ad ascoltare la commissione Territorio che affrontava il nodo Ponte Belvedere. Mentre ascoltavo ho ripensato a un film, Il ponte sul fiume Kwai. È un film che apparentemente parla della costruzione di un ponte ma che in realtà parla del potere, oltre che dell’ottusità della guerra.
Narra lo scontro tra un colonnello giapponese che pretende che tutti i prigionieri inglesi, compresi gli ufficiali, partecipino ai lavori manuali agli ordini degli ufficiali nipponici. Il testardo colonnello inglese, da par suo, ordina a tutti i suoi ufficiali di rifiutarsi di partecipare ai lavori. Ne segue un macello in cui gli ufficiali giapponesi perdono il controllo della situazione e i lavori si fermano. Alla fine il colonnello giapponese accetta le condizioni inglesi, saranno gli ufficiali di sua maestà in piena autonomia ad occuparsi della supervisione dei lavori. Lo scopo dell’ottuso ma in fondo simpatico colonnello inglese non è aiutare il nemico, anche se poi alla fine del film finirà quasi per farlo, ma ricostruire una linea di comando che secondo lui è l’unico modo per tener viva la truppa durante la prigionia. E il ponte alla fine lo fanno, e lo fanno anche nei tempi richiesti dai loro carcerieri.
Ora se oggi dovessi fare un resoconto della commissione Territorio non saprei dirvi qual è la linea di comando.
Il Comune ha sul tavolo diverse proposte, l’una antitetica all’altra, dalla non ricostruzione, alla ristrutturazione, a un nuovo ponte a una variante urbanistica da 33milioni di euro di indispensabili (sic!) spazi commerciali. Ah la democrazia, quando troppo e quando niente è.
Tra i consiglieri che ascoltavano le proposte dell’amministrazione ognuno ha una sua idea, non sappiamo se queste rappresentino quelle del loro gruppo consiliare né tantomeno dei partiti, esistono ancora?, che li hanno eletti. In città frustrazione e rassegnazione di alcuni si scontrano con l’entusiasmo di altri per qualche rendering. Qualche consigliere oggi, ironizzava sul percorso partecipato dell’Urban Center che non si può mica sostituire a chi deve decidere, cioè il consiglio ammoniva. E qui il paradosso ha raggiunto livelli leggendari.
Il punto ancora più assurdo di tutta questa vicenda è che tutti parlano di questo ponte ma nessuno ha una carta in mano una. Non ci sono delibere, atti, schede tecniche, preventivi, cronoprogrammi, nulla, solo articoli di giornale in cui un giorno si annuncia un progetto, un altro si paventa una soluzione per il palazzo sotto il ponte e così via.. in attesa anche noi che un qualche ottuso ma simpatico colonnello inglese ricostituisca una qualche linea di comando.
E c’è pure chi ironizza sulla partecipazione dei cittadini che pure ad oggi sembrano la parte più razionale di questa linea di comando, ieri nell’incontro promosso dall’Urban Center hanno detto tre cose, semplici semplici: il ponte serve e servirà a meno che non vogliate fare del Corso una statale; il ponte va fatto in modo semplice e pulito, non servono megaprogetti e nuove cubature (ancora? ancora? C’è ancora bisogno di ripeterlo?); le persone nel XXI secolo e in una zona sismica non possono vivere sotto un ponte, quindi trovate un modo concreto, (cioè non un articolo di giornale) per costruire un iter in questo senso; il vicolaccio non è un’area di risulta, invece di pensare a nuovi grattacieli da costruire cercate di immaginare che cosa ne sarà di un’arteria con migliaia di metri quadri di spazi commerciali, a come poterla valorizzare dal punto di vista degli arredi urbani, degli spazi, della mobilità ecc.
Magari come gli inglesi nel film anche noi potremo appenderci orgogliosamente una targa sopra a futura memoria: Questo ponte fu progettato e costruito dai cittadini aquilani.
*di Alessio Ludovici