Parma è stata scelta oggi Capitale italiana della Cultura 2020. Aveva già partecipato nel 2017, ci ha riprovato con il dossier presentato lo scorso ottobre, tre anni prima non un mese prima, e ce l’ha fatta. Monito per noi aquilani che ancora non riusciamo a capire tempi e modi per cogliere opportunità che significherebbero risorse, visibilità, rilancio e recupero di valori oltre le mura. Per il sindaco Federico Pizzarotti, la cultura non è solo spazio di intrattenimento ma visione complessiva di città, comprendente tutti i suoi tempi storici e sociali, in perenne dialogo con tutti gli altri ambiti. La parola chiave pare essere l’apertura a mille orizzonti anche fossero opposti alla visione politica di chi amministra. A voler ribadire concetti basilari. Il comitato scientifico ha avuto l’apporto tra gli altri di Bernardo Bertolucci. La candidatura, per il primo cittadino, nasce in una situazione economica e progettuale molto più matura rispetto alla candidatura che avevamo tentato per il 2017, attraverso la quale ci siamo sperimentati e tarati. Si vince solo unendo tutte le forze, lavorando alacremente fianco a fianco per far percepire i progetti prima di tutto ai cittadini. Il risultato raggiunto è un significativo valore aggiunto per la città, come è stato per la nomina di Parma a Città Creativa della Gastronomia Unesco. E in effetti Parma è anche Città creativa che non vuol dire fuffa, ma visibilità, condivisione e risorse. Condivisione e partecipazione per l’assessore alla cultura Guerra associate ad un’offerta culturale di alta qualità, sono state la sfida della nostra candidatura e visione di città che mira ad allargare i confini e ad andare incontro alle persone per il proprio vivere e benessere. La città del Correggio e Parmigianino, di Bodoni e Toscanini, del maestro Giuseppe Verdi, dei Bertolucci e città ducale con Maria Luigia d’Asburgo ce l’ha fatta. Tra le candidate c’erano Agrigento, Bitonto, Casale Monferrato, Macerata, Merano, Nuoro, Piacenza, Reggio Emilia e Treviso.