Non è ancora chiaro ed evidente ma, giorno dopo giorno, aumentano gli enti, regioni e comuni che specificano che anche l’agricoltura hobbystica, quella non professionale, rientra tra i divieti. Solo gli imprenditori professionali possono raggiungere il proprio appezzamento di terra. Per gli altri solo lo stato di necessità, come accudire un animale, giustificherebbe uno spostamento, altrimenti oggi possibile solo nei dintorni dell’abitazione.
Pulire l’orto, potare piante ed alberi, seminare o preparare la propria tradizionale coppa di terra, l’antica unità di misura che variava di comune in comune nel nostro territorio sarebbe quindi possibile sono nei dintorni della propria abitazione. Nell’aquilano ancora non si segnalano problemi in tal senso ma è pur vero che in molti per evitare problemi stanno posponendo i lavori di primavera per il momento, soprattutto quelli, e sono tanti, che hanno l’abitazione in un comune e la terra in un altro.
Il settore della florovivaistica da campo del centronord del Paese denuncia già un grande calo delle vendite, a dimostrazione di quanto il problema possa essere esteso. Gli ettari curati da quelli che oggi chiamiamo hobby farmers sono milioni anche se è difficile fare una stima corretta perché non vengono censite dall’Istat queste aree agricole. Nel nostro territorio molti appezzamenti nei comuni o nelle frazioni sono curati da agricoltori non professionali.
Non è solo una questione di hobby, né di integrazione al reddito, comunque importante per molte famiglie, ma un’interpretazione così restrittiva del contenimento rischia di produrre un danno ambientale non indifferente. Giovanni Cialone, di Slow Food L’Aquila, ricorda la loro importanza per la cura e la manutenzione del territorio e inoltre, aggiunge, gli hobbisti sono quelli che spesso mantengono la biodiversità seguitando a coltivare frutti e semi ormai marginalizzati.
In effetti nel corso dei decenni sono tanti gli studi che hanno dimostrato l’effetto nocivo dell’abbandono dei campi. L’Italia è uno dei paesi a più alto rischio idrogeologico e spesso sono proprio le zone in cui le terre incolte sono aumentate che i disastri hanno avuti gli effetti maggiori. L’organizzazione del paesaggio agricolo rappresenta una fondamentale grande opera di tutela di boschi, colline e valli altrimenti esposti ad incendi, frane, smottamenti e malattie. Quale pericolo rappresenti la cura di questi appezzamenti in termine di diffusione del virus nessuno lo sa, chi ha prodotto questi divieti evidentemente poco sa del lavoro nei campi. Anche questo divieto sembra pensato per risolvere questioni metropolitane, dove negli ultimi anni si è diffuso il fenomeno degli orti urbani, soprattutto nelle città del Nord.
E’ vero, conferma Cialone, quella che mi piace definire cultura urbanocentrica assorbe i pensieri di tutti, compresi quelli che non vivono in città, e dimentica che quasi la metà del Paese è area interna e montana e ci vivono nove milioni di persone. Così mentre tanta cultura metropolitana canta le virtù della quarantena, un tempo mitologico per riscoprire se stessi e il valore di una passeggiata vicino alla propria abitazione, il nostro noi stessi qui rischia di fare i conti con l’impossibilità di raggiungere l’orto del nonno a 10 chilometri da casa.
*di Alessio Ludovici