La ‘temperatura di bulbo umido’, misura la temperatura e l’umidità dell’area di riferimento, si misura con un termometro ricoperto con un panno umido e oltre i 35° indica una condizione nella quale il nostro corpo non riesce a raffreddarsi a sufficienza tramite il sudore; in altre parole, i 35° sono la soglia superiore di sopravvivenza per noi umani, informa un approfondimento su Focus. Uno studio dell’Università di Loughborough, Inghilterra, ha rivelato che questo valore viene superato sempre più di frequente, dunque il riscaldamento globale sta rendendo inabitabili un numero sempre crescente di aree sul Pianeta.
Dati preoccupanti nel Golfo Persico, India, Pakistan, Stati Uniti e Messico. Sono ‘preoccupanti’ ogni volta che la temperatura di bulbo umido è compresa tra i 27 e i 35°, cioè i valori considerati a rischio per la salute umana, l’ondata di calore che colpì l’Europa nel 2003 fece migliaia di morti senza mai superare i 28°, la frequenza di queste misurazioni è raddoppiata dal 1979 a oggi, e in alcune aree del Pakistan e degli Emirati Arabi Uniti, la soglia rossa dei 35° è stata addirittura superata.
L’approfondimento su Focus precisa che il superamento dei 35° non è ancora un evento normale prolungato nel tempo, si tratta al momento di condizioni […] che perdurano per una o due ore al massimo, dunque momenti di calore estremo, non intere giornate, ma secondo gli autori dello studio, condizioni estreme che superano la soglia di tolleranza del nostro corpo, sono più vicine a noi di quanto crediamo, almeno in certe aree del mondo.
La maggior parte dei luoghi dove sono stati misurati i valori estremi sono scarsamente popolati e abitati in prevalenza da popolazioni ricche che hanno accesso all’aria condizionata. Se le cose continuassero così, le stesse condizioni si potrebbero verificare in aree meno attrezzate, senza contare, rimarcano gli autori, che la crescente richiesta di energia contribuirebbe ulteriormente al riscaldamento globale.
Le ondate di calore come quella che a fine giugno ha investito Canada e Nord America sono destinate a diventare sempre meno straordinarie. In un mondo ideale al riparo dai cambiamenti climatici, la possibilità che il termometro segnasse 49 gradi a Vancouver si sarebbe concretizzata una volta ogni 150mila anni; nella situazione climatica attuale, eventi di questo tipo si verificano invece una volta ogni 1.500 anni e nei prossimi decenni, se anche ci manterremo a +1,5 °C al massimo dall’era pre-industriale, le gabbie di calore si presenteranno una volta ogni 5-10 anni.
Quelle che stiamo vivendo sono quindi con ogni probabilità le estati più fresche previste per il 21esimo secolo.
Le ondate di calore possono essere causate da aree di alta pressione che si stabilizzano su una Regione bloccando per giorni l’ingresso di venti che possano mitigare il clima e spingendo aria calda verso il suolo. Gli scienziati del clima le collegano al riscaldamento dell’Artico. Mano a mano che il contrasto di temperatura tra il freddo nord e le calde zone subtropicali diminuisce, spiega ancora Focus, la corrente a getto rallenta e, in alcuni casi, si posiziona in una configurazione molto stabile, che permette a centri di alta pressione, come quello che ha colpito Canada e Nord America, di rimanere bloccati su una singola Regione a lungo.
L’organismo umano non è in grado di acclimatarsi fino alle temperature estreme favorite dal global warming. Con ondate di calore sempre più frequenti e distruttive, dovremo adattare anche comportamenti, spazi urbani e infrastrutture per ridurre i decessi dovuti agli estremi climatici.
Il Rapporto Onu sui cambiamenti climatici di qualche giorno fa, rimarca che l’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteorologici disastrosi dipendono dall’attività dell’uomo e non ha precedenti nel passato. Con +1,5° di riscaldamento globale si avranno ondate di calore più frequenti, stagioni calde più lunghe e stagioni fredde più brevi. Se invece l’incremento di temperatura media globale, rispetto al periodo pre-industriale, toccasse i 2°, allora le conseguenze sarebbero ancora più gravi con una ancor più drastica riduzione dei ghiacci polari e un innalzamento del livello dei mari tale che alcune zone costiere diventerebbero inabitabili.
Non è ancora troppo tardi per impedire che nei prossimi decenni le temperature medie globali crescano più di 1,5° rispetto al periodo pre-industriale. È necessario però, rimarca il Rapporto, uno sforzo immediato da parte dei Paesi di tutto il mondo per ridurre le emissioni inquinanti.