La certezza delle norme potrebbe salvaguardare i paesaggi, anche urbani, e frenare meno l’economia. Bisognerebbe ricominciare dai piani paesaggistici regionali, rilanciare la co pianificazione, confrontare le situazioni regionali pregresse ed avere ancora come bussola la Costituzione.
Così Salvatore Settis, nel corso di un intervento alla Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, sul tema patrimonio e paesaggio.
I piani paesaggistici, ha ricordato l’intellettuale, non sono stati mai fatti se non in due Regioni e rispetto ai quali i poteri sostitutivi non sono stati mai esercitati. La Costituzione aveva assegnato la tutela allo Stato con l’articolo 9, ma l’articolo 117 ha assegnato l’urbanistica alla competenza delle Regioni. Quando poi si aggiunse la nozione giuridica di ambiente e nacque il Ministero dell’Ambiente, la situazione si complicò ulteriormente.
La legge Bottai sul paesaggio del 1939 introdusse i piani territoriali paesistici per le vaste località soggette a vincolo. Il vincolo non era inteso come perpetuo ed assoluto ma come un’indicazione o una direttiva generale in vista del piano. Il conflitto latente si complicò ed esplose quando con enorme ritardo gli ordinamenti regionali presero avvio negli anni ’70 e le Regioni ereditarono le competenze urbanistiche della legge del 1942.
Inoltre dal 1972, alle Regioni vennero date anche le competenze per la redazione e l’approvazione dei Piani territoriali paesistici di cui alla Legge Bottai. L’intento era quello di ricomporre la frattura tra paesaggio e urbanistica ma tale convergenza venne letta e utilizzata come una tacita annessione della materia del paesaggio alla materia urbanistica. Il contrasto fra i Piani territoriali paesistici della Legge Bottai e i Piani territoriali di coordinamento della legge urbanistica venne risolto e, al contempo, aggravato, in favore della norma urbanistica con il rischio di marginalizzare la tutela del paesaggio polverizzando ogni azione di tutela.
Dopo la guerra, peraltro, il problema principale della ricostruzione rese l’intensa attività edilizia uno dei fattori di rilancio economico del Paese ma nulla fu fatto, ha riportato Settis, nonostante le leggi e la Costituzione, per controllare la rendita fondiaria.
Il problema fu sempre presente nel dibattito post bellico senza mai trovare uno sbocco legislativo.
Dagli anni ‘60 ci furono una serie di tentativi di riforma organica tutti falliti.
In questo quadro nasce la Legge Galasso del 1985, con l’intento di limitare i danni di quello che era stato il primo condono edilizio della legge n. 47 dell’anno stesso.
La legge conteneva disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale.
Il vincolo paesaggistico della legge del 1939 fu esteso a nuove categorie e fu imposta alle Regioni l’immediata redazione dei piani paesistici o di piani urbanistici territoriali nell’articolo 1. Questo articolo non fu mai applicato nonostante il linguaggio utilizzato non andava a svilire il ruolo delle Regioni. Il compito della pianificazione fu offerto come strumento per rendere cosciente del proprio patrimonio e del proprio ruolo nel gestirlo.
La redazione dei piani doveva esser fatta entro il 31 dicembre 1986 e, in caso di inadempienza, era previsto un potere sostitutivo del Ministero, potere mai esercitato.
Quattordici anni dopo la Legge Galasso, il Testo unico dei beni culturali e ambientali del 1999 reiterava l’obbligo di redazione per le Regioni, senza scadenza. La successiva riforma del Titolo V della Costituzione complicò la situazione ribaltando l’impostazione della distribuzione delle competenze e generando un numero di conflitti di attribuzione di competenze.
Arriviamo così al 2004, con il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Il Codice dei beni culturali ha cercato di risolvere il potenziale contrasto uscendo dal vicolo cieco dello scontro frontale tra lo Stato titolare del vincolo e le Regioni titolari della pianificazione. Ha riconosciuto la priorità del piano, come strumento di tutela, senza abolire il vincolo, ha ricostruito infine Salvatore Settis.
Da allora, siamo ancora nella selva di norme inefficaci in balia della deroga che distrugge ogni giorno di più i nostri paesaggi.