Ci siamo, infine.
E’ arrivata la petizione contro il Maxxi all’Aquila con illustrissime firme di personaggi della cultura nazionale i quali, per motivi che ignoro, si sono sentiti in dovere di dire la loro sulle vere necessità dell’Aquila, ammonendoci in buona sostanza, come fece il prof. Monti dalle pagine del Manifesto pochi mesi fa, dal rischio di colonialismo culturale che il Maxxi produrrebbe in città.
Del resto noi buoni selvaggi non possiamo sapere cosa è meglio per noi, le aree interne del paese vanno preservate dalla civiltà, uomini a contatto con la natura non inquinati dai vizi e dalla corruzione etica e morale delle metropoli, custodi dei boschi e delle acque, amici degli orsi e dei lupi che la sera preparano arrosticini a mano anziché guardare le serie tv.
Certo non abbiamo letto sui quotidiani e le riviste del belpaese appelli contro la sperimentazione del 5G all’Aquila, quindi a partire dal prossimo anno potremo finalmente parlare con il nostro frigorifero o arrivare alle casse del supermercato con il conto già pronto che ci scala direttamente i soldi dalle carte, però non potremo andare al Maxxi.
Mi sento responsabile di questa petizione, mi era arrivato per sbaglio l’appello settimane fa ma ho preferito per correttezza, da buon selvaggio puro e buono per definizione, non parlarne in pubblico.
Mi sento anche responsabile nel mio piccolo di certa chiusura cittadina, anche se ho sempre rifiutato l’anatema dell’Aquila agli aquilani tanto in voga nel dopo sisma, ma ad esempio fui molto critico con l’Auditorium di Renzo Piano, non capivo perché si dovesse in fretta e furia chiudere la realizzazione di un’opera nel primo posto utile e visibile della città.
Con il senno di poi, ovviamente, devo dire che mi sbagliavo, che se la Regione Trentino e l’architetto non si fossero impuntati l’Auditorium non si sarebbe nemmeno fatto.
Perché è così, L’Aquila è una città di provincia, ha la stessa classe dirigente da 30 anni in qualsiasi settore della vita si vada a guardare, cultura compresa, e l’unica cosa che conta è la loro posizione. Se leggete la petizione, infatti, noterete che il Munda non c’entra un bel nulla con la questione perché palazzo Ardinghelli va dato, attraverso il Polo museale aquilano, agli esponenti ed alle associazioni della cultura locale, in pratica il punto dirimente è che non va dato al Maxxi.
Se così non fosse avrebbero chiesto altre soluzioni, ci sarebbe stato un appello per avere anche, invece no, l’appello è proprio contro il Maxxi.
Si obietta che il Maxxi ha una storia travagliata, ancora tutta da capire, fatto sta che un decimo delle cose che fa il Maxxi trasformerebbero probabilmente la città, e forse il problema è proprio questo.
Certo c’è il rischio del colonialismo culturale, noi selvaggi accederemmo a una finestra sul mondo senza la mediazione della classe dirigente locale, mentre dobbiamo padroneggiare l’avanguardia aquilana, il rinascimento aquilano, il cinema aquilano, l’arte povera aquilana, e, scusate la ventata di populismo, le madonne e i rosari, se salvati dal sisma meglio ancora.
Non vediamo l’ora poi di gustarci la settecentoventiduesima mostra fotografica sul terremoto, la milionesima pubblicazione sulla resilienza degli aquilani.
L’Aquila ha bisogno di cose nuove, di nuovi stimoli o, almeno, date un luogo dove ci possiamo riposà la coccia dall’aquilanità ogni tanto dopo 10 anni, perché poi a farsi le foto davanti al Maxxi a Roma o al Guggheneim non tutti ci possono andare.
Scusate, mi sono dilungato, io di arte non capisco niente, a stento vado oltre le musealizzazioni mainstream, e ora ho da fare, devo procacciarmi del cibo lancia in resta.
*di Alessio Ludovici