A gennaio di cinque anni fa, un sisma di magnitudo 7.0 distrusse Haiti, più di 200mila morti, 2milioni di sfollati e 200mila feriti. E poi il colera. 700mila casi accertati e migliaia di decessi, l’epidemia pare oggi sotto controllo. Haiti cerca di farcela, non ha più macerie per le strade, nelle tendopoli restano circa 100mila sfollati, dei 10milioni di metri cubi di detriti non resta che da togliere una piccola percentuale. Vuole poi elezioni democratiche subito e che facciano rinascere il paese, temendo una svolta autoritaria. Con gli aiuti internazionali sono riusciti ad impostare una ripresa, a far ripartire artigiani e piccole attività commerciali, per le strade Haiti non ha più la morte, di certo la povertà, con fogne a cielo aperto, scarichi a vista e delinquenza e traffici di cocaina nei quartieri più a rischio, in molti attribuiscono il merito della rinascita proprio agli haitiani che vogliono tornare a vivere. In uno dei reportage letti mi ha colpito molto che i resti della cattedrale di Port-au-Prince, saranno certamente lasciati come sono, per non dimenticare. Non c’è nessun progetto di riqualificazione e recupero dell’imponente chiesa, nessun restauro, non ne faranno nulla, resterà com’è, come le rovine della chiesa del Carmine a Lisbona, Igreja do Carmo, lasciate così per scelta dopo il terremoto del 1775, all’interno, a cielo aperto, c’è un museo che conserva i reperti rinvenuti sotto le macerie di quel sisma, chi la visita ne resta terribilmente affascinato. Così per la cattedrale haitiana, intorno alla quale rinascono mercatini e ambulanti, frutta fritta e odori caraibici a mostrare il ritorno alla vita, lontano il rumore del traffico e le rovine non sono più spettri e abbandono, ma ricordo e nuova vita. Diversa da quella che non c’è più, perché dopo un terremoto la vita cambia profondamente. Ed è una scelta architettonica coraggiosa, se qualcuno volesse farla anche per L’Aquila, se ci volesse ragionare, se alla città piacerebbe, tornare a vivere nel ricordo ma senza fantasmi.