Nel loro dialogo sulla felicità della democrazia Ezio Mauro e Gustavo Zagrebelsky affermano la superiorità di una forma di società che consente a tutti, non solo ai pochi privilegiati, di pensare, di comunicare, di scrivere, di fare affari come politica, di esistere in libertà senza tema del poliziotto che ti suona alla porta all’alba, delle spie che riferiscono le tue parole agli intolleranti. Chi ha avuto l’esperienza di vivere in entrambe le società, la libera e l’autoritaria, ricorda molto bene che il duro prezzo da pagare nella seconda non era sempre la galera o la privazione delle libertà individuali, ma l’umiliazione continua di dover mentire o tacere, di dover essere muto di fronte alle più sfacciate violazioni della verità e della ragione. Ne ho un ricordo vivissimo.
Si era nei giorni della guerra contro la Grecia, la spedizione assurda voluta dal clan Ciano Mussolini solo per tentare un’impari competizione con le guerre lampo dei nazisti in Polonia e in Norvegia. E invece di un facile successo era stata una ritirata e sarebbe stata fatale se gli alpini della Julia non avessero fatto baluardo. Al confine tra Italia e Francia, a Mentone, i francesi avevano esposto dei cartelli irridenti: Grecs arretez-vous, içi France.
E in uno di quei giorni di umiliazione e di vergogna il federale fascista della mia città ci aveva radunato in un teatro per risollevare gli animi, e mentre diceva le menzogne della propaganda, il famoso adesso viene il bello, io in platea fra gli altri studenti avevo voglia di alzarmi a gridare: No, non è vero, questa è una guerra già persa, il nostro riarmo è solo un bluff, le artiglierie che avevate promesso non ci sono, l’aviazione non si è mossa neppure durante la spedizione francese nelle acque di Genova. E invece tacevo, perché come tutti avevo paura di finire in galera o al confino. E subivo tutta l’umiliazione di tacere che è la peggior cosa che ci sia in una società autoritaria. Hanno toccato un tasto giusto Mauro e Zagrebelsky parlando della felicità della democrazia, la felicità di essere, di sentirsi uomini liberi. Tutti, liberi di vivere la vita nelle sue infinite forme, di manifestare, di realizzarsi come cittadini, di assumere diritti e doveri. Questa felicità non è un bene astratto o uno stato ideale irrealizzabile, è qualcosa di estremamente concreto e cogente, qualcosa che ha spronato una generazione a volere e a fare la guerra partigiana, la guerra di liberazione dagli occupanti tedeschi.
Viene proprio da dire dell’Italia di oggi che questa ricchezza in buona parte sopravvive, quotidianamente ne godiamo, stanno però crescendo gli impedimenti di quel potere fortissimo che è il denaro, gli interessi personali, il peso di controllo e di soffocamento progressivo che gli interessi materiali hanno sostituito al binomio giustizia e libertà, che è l’essenza della democrazia.
Ho sentito dire da amici questa amara riflessione: siamo liberi ma la mediocrità della vita ci sta soffocando. Apro la televisione, i giornali, ascolto le radio: è una marea di falsità e di stupidità che non ci dà tregua. Seguo i dibattiti politici, un bla bla bla ripetitivo, parole elusive prive di senso, una recita che ha dell’osceno perché capisci benissimo che i buoni intenti sono una copertura, un diversivo, e che al contrario tutti pensano ai buoni affari. Da cui una sorta di nausea per la politica in generale, vissuta come un colossale inganno e presa in giro, con quel presidente virtuoso che continua nelle buone prediche mentre attorno a lui ogni giorno, a ogni ora c’è qualcuno che ruba o malversa.
La democrazia è il modo migliore di vivere associati, le sue forme sono le migliori, le sue ragioni inoppugnabili, ma se lascia che gli interessi privati prevalgano sui generali può diventare oggetto di feroci critiche e di odio, come all’inizio del secolo scorso, quando l’odio per la democrazia divampava in tutta Europa e creava i mostri del fascismo.